Umberto Borsò e Gianfranco Cecchele, addio a due grandi tenori. La loro storia musicale, gli aneddoti, le grandi opere. Il ricordo di Fulvio Venturi (con tre video)

di FULVIO VENTURI

Negli ultimi giorni il mondo dell’opera ha perduto due storici esponenti: i tenori Umberto Borsò e Gianfranco Cecchele.

Borsò, il più anziano dei due, era nato a La Spezia nel 1923 da famiglia pisana, e pisano, per antonomasia, fu sempre giustamente considerato. Fu un professionista solidissimo, dal repertorio variegato e dalla grande adattabilità.

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Umberto Borsò con Virginia Zeani, Nicola Rossi Lemeni (poco visibile) e Paolo Fernandez Africano, presidente del Comitato Estate Livornese, nei camerini del Teatro La Gran Guardia di Livorno dopo una recita del “Piccolo Marat” di Pietro Mascagni (ottobre 1961)

Sicuramente non fu il più raffinato dei fraseggiatori, ma le sue prestazioni avevano qualcosa di leggendario. Se volevi un cantante di voce, uno che passasse senza tremori dallo schianto del registro acuto alla scalata delle tessiture più impervie, lo trovavi in Umberto Borsò. Fosse nato nell’Ottocento lo avrebbero definito tenore “di forza”, meglio sarebbe dire, forse, “da battaglia”. Chi scrive, infatti, lo ricorda uscire da trionfatore in serate tempestose. Nella avita Pisa si misurò con tutto: da Aida a Macbeth, da Madama Butterfly a Lohengrin, al Trovatore. E fu quella del Trovatore una di quelle serate in cui, atteso “col fucile”, finì col bissare la “pira”. A Livorno, addirittura, si misurò con l’impossibile. Erano i tempi in cui Mascagni si dava con abbondanza e con entusiasmo e Borsò, in sequenza e senza batter ciglio, fra il 1958 ed il 1963, fece Cavalleria rusticana, Il piccolo Marat ed Iris.

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Umberto Borsò in “Andrea Chénier”

Per questo fu amato e una registrazione del Piccolo Marat è rimasta per rinnovellare la sua generosa baldanza. E con ciò non si pensi che Borsò sia stato cantante di fama locale: fu scritturato dalla Scala e dal Metropolitan di New York, dal Teatro dell’Opera di Roma e dal Comunale di Firenze, dalla Covent Garden Royal Opera House al Concertgebouw di Amsterdam, alternandosi ora in Turandot, ora in Manon Lescaut, ora nella Campana sommersa, ora in Andrea Chénier, ora in Ernani, ora in Guglielmo Tell, ora persino nel Roméo et Juliette di Gounod. Se in qualcuno di questi spartiti poteva risultare stilisticamente inadeguato, sicuramente con i suoi acuti “a canna”, squillantissimi e proiettati, Umberto Borsò dava la dimostrazione oggi in gran parte perduta di che cosa fosse un vero tenore.

Ancora a Pisa, in una non dimenticata Norma a fianco di Marcella de Osma, altra prodigiosa voce, colse uno dei primi successi Gianfranco Cecchele (nella foto sopra il titolo, particolare di una cartolina dell’Opera di Parigi, dove Cecchele interpretò “Norma” nella stagione 1965/1966). Era il febbraio 1965 e questa affermazione schiuse al ventisettenne tenore padovano (nato a Galliera Veneta nel 1938) le porte dell’Opéra di Parigi: di nuovo Norma, ma questa volta a fianco di Maria Callas.

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Gianfranco Cecchele in “Cavalleria rusticana”

 

Ebbe così inizio la carriera internazionale di Gianfranco Cecchele. Karajan, Prêtre, Shippers, i più grandi direttori, al pari dei più grandi teatri, si disputarono le sue prestazioni. E che opere: Turandot, Cavalleria rusticana, Aida, Don Carlos, La fanciulla del West, Loreley. Televisione, cinema, grandi produzioni: Cecchele, oltre alla bella, maschia, voce, aveva un aspetto molto gradevole. Una breve pausa, forse dovuta ad un problema fisico brillantemente superato, e poi la ripartenza: nel 1973 Gianfranco Cecchele era di nuovo alla Scala nei ranghi verdiani del magnifico Simon Boccanegra firmato da Strehler e da Abbado, quale Gabriele Adorno. Da lì, senza interruzioni, la sua carriera si dipanò di teatro in teatro, di plauso in plauso, per trent’anni almeno. Fresco come una rosa, già ben oltre i sessant’anni, Cecchele affrontava con baldanza Andrea Chénier e Turandot.

A Livorno e a Lucca, nel 1993, portò in scena Cavalleria rusticana, Il Tabarro e l’aspra Wally. Tre opere “nostre”, toscane, cui legò indissolubilmente la “nostra” memoria. Ma Gianfranco Cecchele era già e rimarrà beniamino dei pubblici di tutto il mondo, intrepido rappresentante di quel mondo dell’opera che fu e che dovrebbe essere.
Ho avuto la fortuna di conoscerlo e di essere ospite in casa sua. Porterò con me il ricordo di una straordinaria cordialità.

Pietro Mascagni, Il piccolo Marat. Livorno, Teatro La Gran Guardia, 26 ottobre 1961 (cliccare per il video)

Personaggi e interpreti :

Presidente del Comitato: Nicola Rossi Lemeni, Mariella: Virginia Zeani, Il piccolo Marat: Umberto Borso, La mamma: Clara Betner
Il soldato: Rinaldo Rola, Il carpentiere: Afro Poli, La tigre: Mario Frosini, La spia: Renato Spagli, Il ladro: Augusto Frati
Il capitano dei Marats: Ernesto Vezzosi, Il portatore di ordini:
Cesare Masini Sperti
Orchestra e coro del Teatro La Gran Guardia di Livorno
Direttore Oliviero de Fabritiis

Giacomo Puccini, Tosca. Monte-Carlo, Opéra Garnier, 11 giugno 1972 (cliccare per il video)

Personaggi e interpreti

Floria Tosca: Ilva Ligabue
Mario Cavaradossi: Gianfranco Cecchele
Il barone Scarpia: Tito Gobbi
Direttore d’Orchestra: Oliviero de Fabritiis

Giuseppe Verdi, Alzira. Roma, Teatro dell’Opera, 16 marzo 1967 (cliccare per il video)

Personaggi e interpreti

Alzira – Virginia Zeani
Zamoro – Gianfranco Cecchele
Gusmano – Cornell MacNeil
Álvaro – Carlo Cava
Zuma – Bianca Bertoluzzi
Ovando – Saverio Porsano
Ataliba – Mario Rinaudo
Otumbo – Sergio Tedesco
Direttore d’Orchestra: Franco Capuana