Il Teatro Verdi di Pisa, la storia di Titta Ruffo e l’eccellenza di lirica, prosa e balletto. Un libro da non perdere

di LISA DOMENICI

Quando si parla del Teatro Verdi di Pisa è inevitabile parlare anche del grande baritono pisano Titta Ruffo. E così fa il volume “Storie di un teatro”, edito da Ets, curato da Fabrizio Sainati, Stefano Renzoni, Maria Alberti e Stefano Bruni per i 150 anni del teatro. Importante volume per tutti, non solo per chi ama e frequenta il teatro, nelle sue diverse espressioni, visto che ai cartelloni operistici del “Verdi”, continuano, tuttoggi, ad affancarsi quelli sinfonici, di prosa e di balletto.

Ma torniano al mito Titta Ruffo, al secolo Ruffo Cafiero Titta, “secondo genito di un abile artiere del ferro battuto nato a Pisa in una famiglia originaria dell’alta Versilia (forse Gombitelli, ndr)”, e che la domenica 11 ottobre 1925 (il cantante aveva 47 anni), tornò a calcare il palcoscenico del teatro pisano, con “Amleto” di Ambroise Thomas, per due serata di beneficenza, dopo ventiquattro anni di folgorante carriera nei teatri internazionali. La rentrée di Titta Ruffo, si legge, “travalicò l’orizzonte meramente musicale, investendo la dimensione storica, politica e sociale di un momento particolarmente drammatico per la città e l’intera nazione”. Una sorta di intimo accordo tra l’artista e la sua Pisa e quindi del teatro che ne raccoglie gli umori.

Nel giugno del 1924, l’opposizione fascista subì un duro colpo con l’uccisione del deputato socialista Giacomo Matteotti. Per Titta Ruffo il delitto provocò anche un grande dolore personale, perché Matteotti era suo cognato, avendo sposato la sorella più piccola Velia. Titta Ruffo che aveva preso posizione contro il regime con la decisione di non esibirsi più in Italia, finché avesse governato Mussolini, allora fece un’eccezione, e scelse un titolo operistico significativo. L’esibizione di Titta Ruffo fu ricordata con lo scoprimento di una lapide, due giorni dopo la prima, all’interno del teatro. Tuttora è visibile, ma non è l’originale, che fu distrutta dai fascisti, bensì quella ricollocata nel secondo dopoguerra, quando il teatro Verdi riprì il 15 aprile 1945. Presente Titta Ruffo.
Legame indossolubile, dunque, come quello dei cittadini per il loro prestigioso teatro. Che fu inaugurato 150 anni fa, con la denominazione Regio Teatro Nuovo, il 12 novembre 1867, col “Guglielmo Tell” di Rossini. Stendhal percorrendo l’Italia notava che “nella maggior parte delle città italiane” la via principale cioè il Corso e il teatro “non mancano mai”. Pure a Pisa, come si legge nel bel volume celebrativo.

In sintesi: nel 1771 la città toscana aveva il teatro inaugurato dai nobili Prina poi diventato dei Costanti, dei Ravvivati tra il 1822 e 1878, fino all’attuale intitolazione all’attore livornese Ernesto Rossi. Nel 1807 sorse l’Arena Federighi nell’area di Porta a Lucca, destinata alla corse di cavalli e dal 1815 a spettacoli teatrali estivi. Oggi è l’Arena Garibaldi. Alla fine degli anni Quaranta fu aperto il teatro Politeama all’aperto, all’inizio della passeggiata alle Piagge. Tutte queste strutture, però, non soddisfacevano l’esigenza di Pisa di avere un grande teatro, pertanto si costituì nel 1864, la Società Anonima del Nuovo Teatro per gli Spettacoli Notturni in Pisa, nella quale confluirono personaggi di spicco della collettività cittadina. Fu costruito nel terziere di San Francesco, che stava mutando aspetto, come il libro puntigliosamente documenta. Modello architettonico del nuovo teatro fu la fiorentina “Pergola” risalente alla metà del Seicento. Lasciamo al lettore tuffarsi nel racconto avvincente della nascita del teatro pisano, nel 1901 intitolato a Giuseppe Verdi, dopo la morte del compositore. Da segnalare poi gli accurati interventi sulla decorazione pittorica e la vita teatrale.

In conclusione, un’interessante pubblicazione arricchita da un’ampia iconografia, di cui è giustamente orgogliosa la Fondazione Teatro di Pisa, che preannuncia un secondo volume (che farà felicissimi i melomani) sulla cronologia degli spettacoli. Buona lettura.