Una “strana” coppia (e una bella serata) al Comunale di Bologna: in scena “La voix humaine” e “Cavalleria rusticana”, regia di Emma Dante (la recensione di Fulvio Venturi)

di FULVIO VENTURI

Una coppia inusitata di opere, formata da “La voix humaine” e da “Cavalleria rusticana”, è andata in scena al Teatro Comunale di Bologna. E sarà bene dire subito che punti di contatto fra questi due titoli ce ne sono pochi, ma non ci sembra un difetto. Due spettacoli in una stessa serata possono anche essere distanti fra loro e pure convivere, come in questo caso. D’altra parte, mi si passi la provocazione, “Cavalleria rusticana”, per essere stata composta nel 1890, è opera che guarda avanti; “La voix humaine” del 1959, guarda invece indietro: ha già tutto il Novecento alle spalle. Se proprio vogliamo trovare un contatto fra le due opere, lo vediamo nel fallimento del rapporto donna-uomo, ma non ci sembra essenziale. Sicuro invece in questa produzione il legame artistico-interpretativo fornito dalla regia di Emma Dante e dalla direzione d’orchestra di Michele Mariotti.

È noto che “La voix humaine” di Francis Poulenc, andata in scena nel febbraio 1959 all’Opéra Comique, abbia alla base un testo letterario di Jean Cocteau comparso nel 1930. Insolito, geniale, premonitore: a quella data l’uso del telefono era ancora abbastanza problematico. Cocteau, invece, con una telefonata fa tentare un ultimo approccio amoroso ad una donna che è stata lasciata dal suo amante. C’è di tutto, nostalgia, rimpianto, passione, disperazione, rassegnazione, persino l’idea del suicidio in diretta. E Cocteau sapeva bene come creare una “pièce” teatrale. Il suo testo è persino pieno d’impedimenti tecnologici tesi a creare ansia, a destabilizzare la già emotivamente provata protagonista, “Elle”. Nei ventinove anni che separano la stesura in prosa di Cocteau e quella musicale di Poulenc c’è stato tanto teatro, il cinema (“Una voce umana”, con Anna Magnani e la regia di Roberto Rossellini, primo episodio del film “L’amore”, 1948) e una guerra mondiale. Tanta acqua sotto i ponti (a seguire la fotogallery, immagini di Rocco Casaluci, di “La vox humaine” sul palcoscenico del Comunale di Bologna).

A dire la verità, ci sembra che all’opera di Poulenc manchi un vero pathos. La partitura è senza dubbio asciutta, scabra, essenziale, ma il Novecento ci ha abituato a ben altra asciuttezza e ad arditezze assai più vertiginose. Non per dire, ma “Salome” è del 1905 ed “Elektra” del 1909, se si parla di emozioni. Persino i colpi di teatro in questa “Voix humaine” producono limitati palpiti. Tanto per fare un esempio, i ripetuti squilli telefonici della partitura di Poulenc, ovvero gli intoppi di Cocteau, non valgono l’ossessivo transitare dei treni nella stazione underground della “Saint of Bleecker Street” di Menotti. E qui siamo nel 1954, addirittura cinque anni prima.

In altri termini, il genio sta tutto nel testo di Cocteau, l’opera arriva tardi. “La voix humaine” di Poulenc è essenzialmente un pezzo di bravura per grandi prime donne. Il Maestro francese compose la sua opera pensando alla voce e all’arte interpretativa di Dénise Duval, al punto di consultare frequentemente la cantante, definendola “co-autrice”, e di rifiutare un possibile coinvolgimento di Maria Callas. E la fascinosa Dénise rimase a lungo l’interprete insuperata della “Voix humaine” (con Georges Pretre come direttore) poi fecero seguito gli avvicinamenti più o meno sporadici, più o meno convinti, di carismatiche cantanti come Magda Olivero, Jean Rhodes, Renata Scotto, Raina Kabaivaska.

A Bologna “Elle” era Anna Caterina Antonacci, che come fascino personale conosce poche rivali. La bella cantante ferrarese ha dispiegato per intero la sua dedizione, compenetrando il testo con misura, firmando una prestazione d’indubbia classe. Emma Dante (Gianni Marras assistente alla regia, scene Carmine Maringiola, costumi Vanessa Sannino, luci Cristian Zucaro) ha ambientato l’azione nella camera di un ospedale psichiatrico, dove la donna consuma tutto il suo dramma umano circondata da proterve infermiere, da spettrali medici, dal suo fantasma d’amore. Lettura senz’altro plausibile, ma talmente svelata da sopprimere quasi per intero la tensione e l’incedere della tragedia.

“J’aime le bref”, diceva Jean Cocteau: comunque ovazione finale per Anna Caterina Antonacci.

*****

La regista siciliana tuttavia ha trovato invenzioni più fresche in “Cavalleria rusticana”, dove ha inteso dare una lettura nel senso della tradizione, mantenendo, come ha affermato in una intervista, i colori del Sud, che comprendono l’oscurità del veli neri, o la presenza del crocefisso nelle processioni religiose, ma senza alcun intento oleografico. D’altra parte è anche bene ricordare che la Sicilia di Mascagni non è quella di Verga e che al momento della composizione di “Cavalleria” il Livornese in Sicilia non c’era ancora stato, e dunque, a difesa di una realtà storica, dalla partitura è del tutto assente l’osservazione del “vero” pittorico.
Emma Dante ha così inteso narrare il rapporto fra l’anima siciliana e il sacro, la compresenza della vita profana con quella religiosa, l’oppressione della donna e sicuramente non l’aspetto folkloristico dato dalle coppole e dalle lupare.

Ne è uscito uno spettacolo intenso, dissacratorio, persino divertente (indimenticabili le quattro ballerine impiumacchiate che sostituivano i cavalli per trainare il carretto di Alfio), ricco di trovate (i ventagli variopinti delle donne del paese: ma era “Cavalleria”, o “Iris”? Un sorriso ci sta) e non privo di truculenza gratuita (il calcione sferrato da Turiddu alla giacente Santuzza, assente da qualsiasi descrizione didascalica mascagnana o verghiana, ci ha fatto trasalire d’orrore).

Michele Mariotti, che nella “Voix humaine” era parso financo attento alla interpretazione delle pause e dei silenzi, della forma aperta, del declamato musicale per la costruzione di un monologo, qui pone l’accento sui momenti lirici, facendo notare invero con grande acutezza che “Cavalleria rusticana” (sopra la fotogallery di “Cavalleria rusticana”, immagini, come quella sopra il titolo, di Rocco Casaluci, ad eccezione dell’interno del teatro e del cast in palcoscenico) è opera essenzialmente intima, nella quale i rapporti personali, sanguigni, accesi, violenti, nascondono momenti di grande dolcezza. Così il paesaggio, quella luce e quel sole rinnegati dalla regia di Emma Dante si stemperano in un lirismo sotteso, in un chiarore tenero e terso, ma non privo d’incisività. Un verismo vissuto e ricreato.

Di prim’ordine il cast. Marco Berti è stato un Turiddu superlativo, vocalmente generoso e squillante nella scia dei grandi interpreti del personaggio. Ma per la completezza della prestazione si deve aggiungere che Berti ha anche saputo trovare quelle inflessioni tenere cui abbiamo fatto riferimento a proposito della poetica di Mariotti, qui tradotte nelle antiche inflessioni a fior di labbro della tradizione mascagnana. Una performance di alto livello.

Carmen Topciu ha disegnato una Santuzza partecipe e lirica, dimentica delle inflessioni gridate, “di pancia”, che troppo spesso hanno incrostato il profilo di questo personaggio soprattutto più femminile e dolente che determinato alla vendetta. Gezim Myshketa, dalla cospicua vocalità baritonale, è stato un Alfio solido, senza fronzoli, ma anche senza volgarità. Ottima la Lucia di Claudia Marchi e rivedibile la Lola di Anastasia Boldyreva. Il coro, diretto dal maestro Andrea Faidutti, è parso migliore nella sezione maschile che in quella femminile. Buona, ma non eccezionale, la prova dell’orchestra.

Da sottolineare, sia nell’opera di Poulenc che in quella di Mascagni, la prestazione degli attori Sabrina Vicari, Mariella Celia, Marta Zollet, Silvia Giuffré, Samuel Salamone, Yannick Simons e dunque gli allievi della Scuola di Teatro Alessandra Galante Garrone.

Teatro esauritissimo e successo entusiastico con punte d’incandescenza per Michele Mariotti, Marco Berti, la stessa Emma Dante. E anche per Mascagni, via.

Quarantacinque minuti prima dell’inizio il sovrintendente Nicola Sani ha presentato lo spettacolo al pubblico: chapeau.

***

(“La voix humaine” e “Cavalleria rusticana” saranno ancora in scena al teatro Comunale di Bologna sabato 15 aprile 2017, ore 15.30, e martedì 18 aprile 2017, ore 18).

3 comments

  • Magnifica recensione a una serata che fin dalle prime battute si rileva come eccezionale.
    Ne fa fede l’estrema, quasi gioiosa, scorrevolezza della scrittura che trascina il lettore ad assistere, in maniera virtualmente fisica, alle rappresentazioni teatrali.
    Interessanti anche i rilievi socio-antropologici.
    Da sottolineare quello che Venturi, forse, non sa di aver sotteso: Le performances degli interpreti di “Cavalleria rusticana” danno un respiro universale all’opera, intenzionalmente strutturata per darle invece quello del profondo sud.
    Linguaggio moderno e struttura veloce del discorso evidenziano la vivace partecipazione personale allo spettacolo e, sebbene si possano dare per scontate l’accuratezza e la puntualità competenti dell’analisi da parte del nostro, pure riescono a sorprendere in un contesto espositivo entusiasta al punto da essere giovanile.

    • Grazie mille per il suo intervento relativo alla doppia recensione di “La voix humaine” e “Cavalleria rusticana” al Comunale di Bologna. Lo staff di toscanaeventinews.it

Comments are closed.