SPECIALE FESTIVAL PUCCINI / 19. Minimalismo e melodia per “Jeanne d’Arc”, opera al debutto. Bravi i giovani interpreti, punte di eccellenza per Sara Cappellini Maggiore
di FULVIO VENTURI
Jeanne d’Arc è un personaggio molto rappresentato. Andate ad Orléans e guardate la statua equestre dell’eroina stagliarsi contro la facciata della cattedrale fra il garrire delle bandiere nazionali sugli alti pennoni e capirete che cosa in Francia sia la “grandeur”, la messa in scena ed anche la forza della tradizione. Tralasciando per modestia la storia, l’infinità dei trattati, le tonnellate di carta stampata, volgiamo in breve lo sguardo all’arte: l’iconografia ufficiale e popolare, Ingres, il cinema dal muto allo storicismo romanzato novecentesco, un indimenticabile “ritrattino” tratteggiato da D’Annunzio nel proemio del “Martyre de Saint Sébastien” dove in poche righe il poeta riassume la vicenda della “Pucelle” con l’eco delle voci, la casa di Domrémy e “les archers italiens” di Bartolomeo Baretta, Verdi con la sua più obliabile opera del 1844 e Honegger con un’opera-oratorio incisiva, “Jeanne d’Arc au bûcher”, su libretto di Paul Claudel, gotha della cultura francese d’anteguerra, prima rappresentazione nel 1938, niente meno che con Ida Rubinstein (!), poi surta alle cronache anche mondane nel 1953 per il coinvolgimento di Ingrid Bergman e Roberto Rossellini sotto l’egida culturale di Gianandrea Gavazzeni.
E almeno formalmente nell’ambito delle opere-oratorio si inserisce questa “Jeanne d’Arc” di Giuliana Spalletti, libretto di Lisa Domenici, presentata al Festival Puccini mercoledì 9 agosto 2017, nell’anno dedicato alla Francia. Bisogna anche dire che il passato costituisce pur sempre un cospicuo termine di paragone.
L’azione si svolge nello studio di Régine Pernoud, storica francese di riferimento per la figura di Giovanna d’Arco. Mentre la studiosa si appresta a scrivere una monografia sulla “Pulzella” per dibatterne i fatti, si animano i personaggi della storia: Isabelle Romée, madre di Jeanne, il vescovo inquisitore, un popolano, Jean d’Alençon, combattente e innamorato di Jeanne, e la protagonista, Jeanne d’Arc stessa.
Il linguaggio di Giuliana Spalletti è sospeso fra minimalismo e nuova melodia, mentre i frequenti interventi di Régine come narratore richiamano la memoria ai momenti oratoriali perosiani oppure all’estremo titolo della produzione respighiana, “Lucrezia”, poi portato a termine da Elsa Olivieri Sangiacomo (nella foto in basso a destra la compositrice Giuliana Spalletti, a sx, e la librettista Lisa Domenici).
La strumentazione cameristica prevede “a parti reali”, violoncello (Paolo Ognissanti), flauto (Maria Carli), oboe (Mirco Cristiani), corno (Massimo Marconi), poi timpani (David Mazzei) e pianoforte (Francesco Barbagelata). Dirigeva l’ensemble il Maestro Stefano Romani. Molto ben preparato dal Maestro Salvo Sgrò, come al solito, il Coro del Festival.
Ottimo il palcoscenico sul quale hanno agito i giovani cantanti dell’Accademia del Festival Pucciniano. Francesca Pacini è stata una convincente “storica”, molto bene Donatella de Caro nei panni della madre di Jeanne e Samuele Simoncini come popolano. Forse maggior peso vocale richiederebbe la parte del Vescovo inquisitore impersonato da Franco Cerri e Alessandro Fantoni ha confermato quanto di valevole ha fatto intendere nella “Rondine”.
Ma punte di vera eccellenza ha toccato Sara Cappellini Maggiore come protagonista, in una parte asperrima, tutta declamata sul registro medio-alto con sconfinamenti frequenti e persino note ribattute nel settore sovracuto. Oltre a compattezza di suono, bel timbro ed ammirevole tenuta, Sara Cappellini Maggiore ha esibito una splendida figura scenica che in certi tagli di luce, nel volto e negli atteggiamenti, ricordava l’ardita eleganza e l’asciutto rigore di Ida Rubinstein. Giusto successo personale per lei, unito alle festosità finali per tutti.
One thought on “SPECIALE FESTIVAL PUCCINI / 19. Minimalismo e melodia per “Jeanne d’Arc”, opera al debutto. Bravi i giovani interpreti, punte di eccellenza per Sara Cappellini Maggiore”
Commento per una sorta di senso del dovere che mi sono autoimposto.
In che senso? Semplicemente in quello che una profana come me non può commentare una recensione su un argomento di cui non sa nulla.
Mi limito allora a complimentarmi col Dott Venturi per come riesca a stimolare nei “lontani” interesse e voglia di approfondire: capacità di chi unisce in sé competenza e passione.
Grazie!
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