“Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band” e i Beatles cinquant’anni dopo: un capolavoro da riascoltare e riscoprire
Il 2 giugno del 1967, cioè cinquant’anni fa, il long playing (così si chiamavano allora gli album musicali, quelli a 33 giri) “Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band” dei Beatles era uscito da appena 24 ore ed era già un successo mondiale. Era l’ottavo album dei Fab Four – al secolo John Lennon, Paul McCartney, George Harrison e Ringo Starr – che con il passare delle settimane salirà tutte le top ten fino a diventare disco di diamante. Milioni di copie vendute dall’Europa all’America (in tutto oltre 32 milioni), a sancire l’ennesima consacrazione dei Beatles. L’album, considerato uno dei capolavori di Lenon, McCartney, Harrison e Starr, è stato poi inserito dalla rivista specializzata Rolling Stone al primo posto della classifica dei 500 migliori album. Dal disco, undici anni dopo la sua uscita, quindi nel 1978, fu tratto un film con lo stesso titolo. E oggi, a distanza di cinquant’anni dalla pubblicazione del disco, è stato confezionato anche un docu – film per le sale cinematografiche.
Nel disco i Beatles mescolarono molti generi musicali in voga alla fine degli anni Sessanta: pop, rock, pop barocco e rock psichedelico. La copertina, poi, fece dell’lp il primo vero concept album della storia. Era (ed è anche nelle ristampe) una copertina colorata, ricca di simboli e significati (veri o presunti), che si apriva e conteneva i testi delle canzoni. La realizzarono Jann Haworth e Peter Blake, pare su input di McCartney, e con essa vinsero un premio Grammy nel 1968. Una copertina nella quale i quattro Beatles compaiono con abiti in stile militare, ma molto pop, e accanto a loro – nella grande foto “in posa” – si trovano personaggi famosi dell’epoca, ma anche dei decenni precedenti. Ci sono – tanto per fare qualche esempio – l’attrice Mae West e lo scrittore Aldous Huxley, l’attore Tony Curtis e Stan Laurel (il mitico Stanlio), ma anche Oliver Hardi (ovvero Ollio), il filosofo Karl Marx, Bob Dylan, il padre della psicanalisi Sigmund Freud, l’attore Tyrone Power, Lawrence d’Arabia, il mitico Marlon Brando, ma anche Marlene Dietrich e Shirley Temple…
Tredici le tracce musicali, seguendo il fil rouge di una banda di ottoni di epoca vittoriana, fra cui la famosissima “Lucy in the Sky with Diamnds” nella quale vennero subito lette allusioni all’Lsd, come in un altro brano – “Fixing a Hole” – le allusioni furono dirottate sull’eroina. “Within You Without You” (di George Harrison) era ispirata alla musica indiana (e alle esperienze mistiche di quel periodo) mentre in “Lovely Rita” qualcuno – ovvero gli allora sostenitori della morte di Paul McCartney che la collocavano alla data del 9 novembre 1966 – diceva che Rita era la giovane a cui quel tragico giorno Paul avrebbe dato un passaggio in macchina. Per arrivare a “A Day in the Life”, nel quale vennero individuati – al pari delle altre due canzoni già citate – riferimenti all’uso di droghe. L’album si apre con l’onirica “Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band” – la bada dei cuori solitari del sergente Pepper – che mescola generi, strumenti musicali, mescolando ritmi d’antan con la musica americana dell’epoca… il tutto fra rumori di sottofondo, risate e stacchi… Da non dimenticare, poi, l’innovativa “With a Little Help from My Friends” che sarà ripresa in seguito da molti cantanti, a partire da Joe Cocker.
Cinquant’anni dopo, (ri)ascoltare questo album beatlesiano rappresenta ancora un’esperienza emozionante. Sicuramente da (ri)provare. Perché la musica non conoscere e non conoscerà mai limiti temporali ed emozionali. (e.a.)