Serena Farnocchia al Giglio di Lucca disegna una Wally d’autore. Bravo anche Todorovich. Imprecisioni dal lato orchestrale (con fotogallery)

di FULVIO VENTURI

Amata ed eseguita da grandi direttori d‘orchestra (Toscanini, Campanini, Panizza, Del Campo, De Sabata, Gavazzeni, Giulini), adorata da molte prime donne che ne fecero un personaggio iconico (Darclée, Storchio, Burzio, Crestani, Caracciolo, Baldassarre-Tedeschi, Cigna, Caniglia, Tebaldi, Olivero, Kabaivanska), La Wally di Catalani è stata a lungo ben inserita nel repertorio di teatri grandi e piccoli, nonché opera quasi popolare. Concorrevano a questa condizione gli effettivi valori della partitura, la singolarità del soggetto e il rispetto verso il suo autore, come sappiamo scomparso nel fiore degli anni, minato dal mal sottile. Oggi non è più così.

La Wally è opera pressoché sconosciuta e oggetto di superciliosi dubbi, fuori dai percorsi di divulgazione. Sarebbe lungo analizzare le cause di questo impoverimento che non riguarda solo Catalani e in questa sede ci limitiamo ad un laconico “tant’è”. Nello stato attuale è tornata, a venticinque anni dall‘ultima rappresentazione locale e nella ricorrenza della première scaligera (20 gennaio 1892, direttore Edoardo Mascheroni, lo stesso di Falstaff), a Lucca, città natale di Alfredo Catalani (*). Lodevole iniziativa.

La produzione habeat corpus in quella andata in scena con ampio successo nei teatri di Piacenza, Modena, Reggio Emilia lo scorso anno e già recensita da toscanaeventinews.it in quella occasione. Regia Nicola Berloffa, scene Fabio Cherstich, costumi Valeria Donata Bettella, luci Marco Giusti.
Consistenti invece, diremmo radicali, i cambiamenti nella parte musicale, al punto che è giusto definire questa lucchese una produzione completamente nuova. È subito bene dire che senza una protagonista adeguata, La Wally è meglio non guardarla nemmeno. Parte ricca di fascini interpretativi, di gemme sonore (dobbiamo ricordare l‘aria Ebben, ne andrò lontana?), di frasi-simbolo (Chi osò levar sul padre mio la mano; Finor non m‘han baciata/ che i rai del sol e il vento; O neve, o candido destino mio/ ecco la sposa di Giuseppe), ma sfiancante quanto mai. Tre arie, cinque duetti, concertati, presenza costante in scena e le difficoltà che si acuiscono nei due atti finali.
La produzione lucchese ha trovato il suo cardine nella partecipazione di Serena Farnocchia, che ha firmato una prestazione d‘autore e aggiunto un personaggio di alto livello alla sua galleria personale che già si compone di Anna Bolena, Lucrezia Borgia, Maria Stuarda, Desdemona, Elisabetta di Valois, Manon Lescaut, Madama Butterfly.

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Busto di Alfredo Catalani

La forte radice belcantistica che fa parte del suo terreno culturale e professionale aiuta Serena Farnocchia nel tratteggio di una Wally elegante, palpitante, sperduta, ma anche indomita e determinata. È ovvio che “Serena” (la definiamo così, tout-court, col solo nome di battesimo, come le mitiche interpreti barocche) trovi il suo habitat naturale nei momenti lirici della partitura, ovvero le tre arie Ebben ne andrò lontana (salutata da un lunghissimo applauso a scena aperta), Né mai dunque avrò pace (terzo atto), Prendi, fanciullo, e serbala (quarto), ma è riuscita a trovare scatti da grande interprete, senza scadere nella volgarità e nella smaccata declamazione negli accesi scambi con Gellner e nei vaneggiamenti solitari del quarto atto, asperrimi dal lato vocale. Oltre alle capacità professionali di questa cantante, vorrei sottolineare la generosità e l‘amore per la sua terra che, da versiliese, l‘ha portata ad intraprendere un percorso artistico verso il lucchese Catalani nella città di Lucca.

Accanto a lei, unico superstite delle produzioni emiliane dello scorso anno, il tenore Zoran Todorovich, in serata di grazia, è stato un Hagenbach baldanzoso, estroverso, squillante, del quale, vivaddio, mai dimenticheremo i due splendidi si naturali dell‘aria “Quando a Sœlden”. Il resto del cast ha presentato una buona Paola Leoci nei panni di Walter (ricordiamo che nel 1954, a Lucca, questo personaggio fu interpretato dalla giovane Renata Scotto), l‘inappuntabile veterano Francesco Facini come Stromminger (tale era stato anche nella produzione di venticinque anni fa), il promettente Graziano Dellavalle nella difficile parte del Pedone di Schnals, la brava Irene Molinari e Marcello Rosiello non sempre a suo agio negli scomodi panni di Vincenzo Gellner, l‘eroe negativo dell‘opera, legato ad una infinità di grandi interpreti baritonali (nel dopoguerra: Aldo Protti, Giangiacomo Guelfi, Piero Cappuccilli. In Emilia lo scorso anno, Claudio Sgura).

Purtroppo qualcosa non è andata dal lato orchestrale. Facciamo salve le buone intenzioni e le capacità del direttore Marco Balderi e dell‘Orchestra Filarmonica Pucciniana, ma l‘esecuzione è risultata piuttosto imprecisa. Così il Coro del Festival Puccini, diretto da Elena Pierini, a mal partito nella pulizia degli attacchi e nella compattezza del suono. La rappresentazione della Wally è stata preceduta da una avvincente presentazione del professor Guido Barbieri, illuminata nelle argomentazioni e piacevolissima nella esposizione, e dalla inaugurazione di una mostra dedicata a Catalani. Anima cara aprimi le tue braccia.

(*) L’opera “La Wally” di Alfredo Catalani replica al Teatro del Giglio di Lucca domenica 21 gennaio 2018 alle ore 16.