Quando la luce diventa specchio di una città. Nove mesi di lavoro e cento immagini: così il fotografo George Tatge racconta Livorno. Il 26 settembre inaugurazione della mostra, che apre virtualmente il festival “Il senso del ridicolo”

di ELISABETTA ARRIGHI

E’ vero, la luce di Livorno ha qualcosa di unico. Ora vellutata, capace di avvolgere come in un bozzolo. Ora aspra e colorata dal grigio delle nubi che salgono dall’orizzonte del mare. C’è la luce del tramonto, che in base alle stagioni copre una immensa tavolozza di sfumature dal giallo al rosso. Ci sono i lievi bagliori dell’alba che sovrastano il buio della notte che se ne va. C’è poi la luce che emana la superficie del mare, cristallina e fresca. Ecco, in tutte queste “luci” va “immersa” la città, come in una scenografia sempre in movimento. Ogni volta unica, seppure eguale nei tracciati delle strade, nelle linee dei palazzi, nella nitidezza del lungomare, nei tronchi sagomati dai venti di libeccio e di scirocco che disegnano contro il cielo uno dei soggetti preferiti dai pittori della macchia. Fra le immagini che spiccano nella mostra di fotografie di George Tatge (un centinaio) che sta per essere inaugurata (il 26 settembre 2019, alle ore 18) nell’area del Museo della Città ai Bottini dell’Olio dedicato all’arte contemporanea (ex Chiesa del Luogo Pio), c’è proprio l’immagine di una tamerice che ricorda Giovanni Fattori (foto sopra il titolo). Una foto che sembra un dipinto, dove dietro al primo piano del tronco e all’allungarsi dei rami si scorgono, ai lati dell’immagine, due panchine con due persone sedute. E’ la Rotonda di Ardenza, in un giorno con il cielo sbiancato da una luce che lascia una leggera patina sulle cose. E se questa foto ricorda i Macchiaioli, ce n’è un’altra assimilabile nei colori e nella fantasia ad un quadro di Klimt: sono alcuni lucchetti applicati ad una vecchissima porta, nel cuore del quartiere della Venezia.

La mostra, curata da Stefania Fraddanni, promossa dalla Fondazione Livorno e organizzata da Fondazione Livorno Arte e Cultura, è pronta a debuttare, inaugurando virtualmente il festival “Il senso del ridicolo” (organizzato dalla Fondazione) che andrà in scena dal 27 al 29 settembre 2019 in vari luoghi. La mostra sarà a ingresso gratuito nei giorni del festival.

Una esposizione che va a raccontare nel Museo della Città, una Livorno che solo un non livornese, una persona “che viene da fuori”, è capace di leggere e interpretare. Lui – in questo caso il fotografo George Tatge, italo-americano, nato a Istanbul, arrivato a Roma per fare il giornalista, vissuto a Todi per 12 anni, arrivato poi a Firenze dove per sedici anni è stato direttore alla Fratelli Alinari – ha studiato e fotografato Livorno partendo proprio dalla luce.

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E infatti la mostra è intitolata “Luci di Livorno” ed ha come immagine simbolo la metafisica piazzetta allo Scoglio della Regina (a lato), delimitata a nord dalle linee minimaliste di un edificio bianco (una scelta architettonica che è stata a suo tempo al centro di grandi polemiche) cadenzato da una sequenza di finestre. Linee geometriche e pulite che sembrano essere state attinte direttamente dal razionalismo italiano: una piazzetta in cui la pavimentazione assume il movimento delle onde marine mentre la lieve scultura in bronzo della ballerina danza sul bordo di un piedistallo a tronco di cono. Il tutto immerso in una luce che fa risplendere le superfici sulle quali si posa. Ma il disegno metafisico della composizione fotografica si va a ritrovare anche nell’immagine del mega capannone azzurro costruito qualche anno fa all’interno del Cantiere Benetti (ex Orlando), negli interni spogli dei magazzini del Monte di Pietà. E ancora, sebbene le linee assumano in questo caso la forma di archi, nell’interno del Cisternone, il deposito di acqua della città.

Ci sono poi le reti da pesca, la cui tessitura viene definita dall’obiettivo fotografico di Tatge formando, sulla stampa, un soggetto ricco di sfumature di colore assimilabile ad un quadro rinascimentale. E poi catturano lo sguardo le cancellate di Villa Maurogordato, gli scogli che spiccano su un orizzonte disegnato dalle dighe foranee. C’è anche la portancontainer accostata alla banchina della Darsena Toscana sormontata – davanti a nubi sfrangate che sembrano danzare nel cielo – dalle gigantesche gru pronte a trasferire a terra il carico di “scatoloni” metallici. C’è questo e molto altro, come i ruderi dei vecchi magazzini dell’ex Cantiere Orlando (in fase di ristrutturazione nell’ambito del progetto Porta a Mare, nda) che si riflettono nelle pozzanghere lasciate dalla pioggia. La luce taglia gli archi e va a disegnare i muri.

Una mostra da vedere fino in fondo (e senza dubbio da rivedere per meglio assorbire la sua bellezza), che resterà aperta fino al 6 gennaio 2020. Una mostra nella quale ci si può specchiare, o meglio può specchiarsi una città che è molto, molto più affascinante ed emozionante di quello che i livornesi pensano. La luce è sì la grande protagonista, ma tutto – le forme architettoniche e quelle della natura – concorre a disegnare una città mediterranea da (ri)scoprire. Le fotografie sono state scattate con il banco ottico 13×18 centimetri Deardoff che è il fedele compagno di George Tatge. Una scatola con l’obiettivo, nel quale si infilano le lastre. Non c’è la tecnologia digitale di oggi, che brucia tutto in meno di un secondo. Qui c’è l’attesa. Uno scatto, la lastra che si impressiona, e che soltanto giorni dopo, anche dieci (come ha detto il fotografo), dopo che a Milano viene stampata in laboratorio, ci farà vedere il risultato. Tatge  ha parlato del concetto di casualità su cui ha basato la scelta di Livorno come oggetto della sua mostra. Rimasto folgorato dall’aspetto e dalla luce della città, dopo essere stato interpellato dal presidente della Fondazione Arte e Cultura, ha accettato la sfida di ritrarre Livorno: “Le mie foto sono metafore –  ha detto con una punta di commozione l’autore – vogliono rappresentare qualcosa che va oltre”, citando De Chirico.

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La presentazione della mostra nell’ex Chiesa del Luogo Pio: da sinistra Stefania Fraddanni curatrice della mostra, Luciano Barsotti presidente della Fondazione Livorno Arte e Cultura, l’assessore alla cultura Simone Lenzi, Marcello Murziani di Fondazione Livorno e il fotografo George Tatge

Come accennato, l’evento è stato presentato nell’ex Chiesa del Luogo Pio alla presenza dell’artista-fotografo che ha impiegato circa nove mesi per fotografare Livorno. Un’esperienza, quella di fermare l’attimo, le luci e la vita di una città che Tatge ha già fatto in altri centri urbani italiani. A collaborare con il fotografo in questa vera e proprio impresa artistica, è stata Stefania Fraddanni, consulente comunicazione della Fondazione, che cura adesso l’esposizione ed ha curato anche il catalogo che accompagnerà la mostra. Alla presentazione hanno partecipato anche Luciano Barsotti, presidente della Fondazione Livorno Arte e Cultura, Marcello Murziani (Fondazione Livorno), e l’assessore alla cultura Simone Lenzi. “La mostra di Tatge – ha detto Lenzi – ci offre uno sguardo sulla città. La sua è una fotografia metafisica, così come lo sono molti suoi soggetti tra cui la Terrazza Mascagni. Livorno si presta a questo tipo di sguardo, soprattutto per la luce. Gli oggetti riprodotti nelle fotografie sono definiti con precisione, quasi scontornati. In queste foto Livorno ricorda la cultura di luce olandese del ‘600”.