“Potevo farlo anch’io” a Pontassieve: una mostra di foto dai campi profughi Saharawi a sud di Tindouf. A cura di Chiara Cappelli
“Potevo farlo anch’io” è il titolo di una mostra, che sarà inaugurata venerdì 7 settembre 2018 (ore 18.30) e sarà proposta informa di anteprima fino al 9 nello spazio culturale “Le Muratine” di Pontassieve in occasione del festival Cookstock. Curatrice della mostra è Chiara Cappelli che ha scattato anche alcune delle immagini che fanno parte del percorso espositivo (in basso la locandina e sopra il titolo un particolare della foto).
La mostra raccoglie una serie di scatti realizzati durante l’ultima missione dell’Associazione Saharawinsieme Onlus insieme a una delegazione del Comune di Pontassieve nei campi profughi Saharawi a sud di Tindouf (Algeria) e “si propone di dimostrare l’effettiva possibilità di essere ‘artisti per un giorno’, di poter creare qualcosa che vada oltre l’estemporaneità di uno scatto. E questo senza la necessità di dotarsi di particolari strumentazioni tecniche, ma semplicemente facendo quello che ogni giorno facciamo: prendere in mano il nostro smartphone e scattare delle foto.”
“Potevo farlo anch’io” è una frase che ognuno di noi ha detto almeno una volta visitando una mostra fotografica o di arte contemporanea, non riuscendo ad evincere dove fosse l’eccezionalità di un’opera assurta alla categoria di arte Questa mostra si propone quindi di dimostrare l’effettiva possibilità di essere ‘artisti per un giorno’, di poter creare qualcosa che vada oltre l’estemporaneità di uno scatto. E tutto questo senza la necessità di dotarsi di particolari strumentazioni tecniche, ma semplicemente facendo quello che ogni giorno facciamo: prendere in mano il nostro smartphone e scattare delle foto.
Dal 1987 il Comune di Pontassieve è gemellato con il comune Saharawi della tendopoli di Tifariti e, dopo anni di viaggi e interventi di aiuto alle famiglie più bisognose, il legame fra Pontassieve ed i Saharawi si è consolidato fino a decidere di costituire nel 2007 l’Associazione Saharawinsieme Onlus, fondata sulla base della ventennale esperienza del Comitato di Amicizia con il Popolo Saharawi di Pontassieve. Ad oggi l’Associazione porta avanti diversi progetti di solidarietà fra cui le adozioni a distanza e l’accoglienza estiva di bambini Saharawi presso i comuni di Pontassieve e limitrofi. Negli anni, il Comitato prima e l’associazione poi hanno inoltre realizzato, in collaborazione con il Comune, numerosi progetti di cooperazione internazionale, quali l’acquisto di cammelle da latte, di cisterne per la raccolta dell’acqua, e più recentemente la costruzione di una ludoteca nei campi profughi.
La storia dei Saharawi vede una popolazione privata dal 1975 di gran parte della propria patria, poiché invasa nei suoi territori dal vicino Marocco, e da allora confinata in una parte di deserto a sud dell’Algeria, oppure nei territori oggi occupati dai marocchini. Separati dal Marocco da un muro di 2700 km, i Saharawi hanno coraggiosamente ricostruito città di tende alle quali hanno dato i nomi dei loro vecchi comuni, ma vivono in una situazione di costante incertezza e temporaneità, poiché fiduciosi e desiderosi di poter ritornare prima o poi ‘a casa loro’. In totale balia di meccanismi politici internazionali, sono anche vittime innocenti di un silenzio mediatico che inevitabilmente può portare all’oblio.
“Da qui l’idea di una mostra che sia un intervento concreto per dare la giusta visibilità a questa causa, con l’idea che ogni persona in visita in quei luoghi si senta parte di un ampio progetto e possa dire “Potevo farlo anch’io” o semplicemente “Posso farlo anch’io”, con semplici mezzi ma grandi intenti di solidarietà. Nella settimana passata nell’ultima missione nel deserto ciascuna delle persone presenti ha infatti sentito la necessità di ‘fermare’ immagini e istanti del viaggio scattando foto con il proprio telefonino. Niente di nuovo fino a qui, ordinarie scene del nostro quotidiano. Ma niente è ordinario, niente ha il sapore del quotidiano in quelle terre desertiche dimenticate oltre un muro di vergogna. Quegli scatti, fatti a volte con la leggerezza di un gesto iterato per abitudine, hanno da subito catturato l’essenza di luoghi e persone ammantati, nella loro semplicità, di una straordinaria potenza visiva ed emotiva. Ed è esattamente quello che si percepisce in ogni singolo scatto fatto dai partecipanti alla missione.
I suggestivi contrasti cromatici fra il blu terso del cielo e i colori caldi della sabbia fanno da scenario a un ideale set fotografico allestito nella precarietà di luoghi che hanno radici altrove, in una patria vicina ma irraggiungibile. In una patria della sono state private le persone che vediamo sorridere, correre, giocare, vivere nelle foto esposte. Bambini, ragazzi, adulti e anziani incrociati durante questo viaggio e che con meravigliosa spontaneità e sincera partecipazione si sono prestati a diventare per pochi attimi perfetti modelli, capaci di regalare ad ogni scatto unicità e simpatetica suggestione. Nella naturalezza che li contraddistingue, nella fierezza che li determina come persone e come popolo, nell’autodeterminazione che attendono, ma che già gli appartiene e che filtra attraverso i loro sguardi.
Basta poco, a volte un semplice scatto. E sì, “potevo farlo anch’io”. (Chiara Cappelli)