PIETRO MASCAGNI. La sua vita, le sue opere: il critico Fulvio Venturi firma un libro che racconta l’uomo e il grande compositore
di ELISABETTA ARRIGHI –
La penombra nasconde la buca dell’orchestra mentre sul podio si staglia nitido il profilo del direttore. La bacchetta nella mano destra, i capelli dal taglio inconfondibile (all’epoca i giovanotti volevano proprio quel “suo” taglio). Non può essere che lui, Pietro Mascagni, immortalato mentre dirige “Le Maschere” dall’arte pittorica di Renato Natali, livornese come il musicista. La litografia è del 1911: il palcoscenico invaso da una folla di personaggi, e i palchetti, anch’essi in penombra, sembrano proprio quelli del teatro di casa, il glorioso Goldoni. Un’immagine familiare che avvolge, come un caldo abbraccio, l’ultimo libro del critico musicale Fulvio Venturi, grande studioso di lirica, ma soprattutto di Mascagni. Perché la copertina del volume, di grafica e stampa raffinate, edito dalla casa editrice livornese Sillabe, è impressa proprio con i tratti di quella bella “istantanea” di Natali che risale ormai a più di un secolo fa. Ma anche oggi, Mascagni, 153 anni dopo la sua nascita, è uno dei figli prediletti – seppure con diverse incomprensioni del passato – della sua città.
Il libro “Pietro Mascagni e le sue opere” di Fulvio Venturi, critico musicale anche del sito www.toscanaeventinews.it, è uscito in questi giorni che precedono il Natale nelle librerie italiane: la presentazione ufficiale del volume (che Sillabe ha stampato in italiano con, a fronte, anche la traduzione in inglese) è prevista all’inizio dell’ormai prossimo 2017. Informeremo gli appassionati di lirica non appena sarà redatto il calendario.
Il volume racchiude in 120 pagine un ritratto a tutto tondo del compositore di Cavalleria rusticana, perché dopo una breve scheda biografica, Venturi racconta una dopo l’altra tutte le opere mascagnane. La grafica pulita ha fatto sì che il racconto sia seguito passo dopo passo da immagini d’epoca: una galleria di locandine, di foto di scena, di immagini di Mascagni e dei cantanti che hanno interpretato la sua grande musica. È come fare un tuffo nella storia della lirica, dagli anni Novanta del XIX secolo fino alla metà degli anni Quaranta del Novecento.
Un’altra opera dedicata a Mascagni. Perché Fulvio Venturi ha scritto questo nuovo libro che ha come protagonisti il musicista e le sue partiture?
“Ho scritto questo volume per dare un’informazione di base. Pietro Mascagni è un autore del quale, al di là della celebrata Cavalleria, si conosce poco. La mia intenzione è stata quella di fornire notizie sul personaggio e sulle sue partiture, in modo da poter stimolare la curiosità del lettore e quindi stimolare ulteriori approfondimenti”.
A chi è rivolto in particolare questo nuovo libro?
“È rivolto ad un pubblico vasto, senza preclusioni di età. È un testo che può essere letto da tutti, sia da chi già conosce almeno un poco Mascagni, sia da chi comincia ad affacciarsi al mondo della musica e quindi della lirica”.
A distanza di 71 anni dalla morte del compositore, come si può – oggi – rileggere criticamente il complesso delle sue opere?
“Mascagni è un tipico autore di fine Ottocento, inizio Novecento. Lo definirei un autore liberty, perché tanti tratti si ritrovano nella sua musica. Un autore che parte dal verismo e che diventa estetizzante già a metà del suo percorso artistico con opere come Isabeau e Parisina, per poi ricollegarsi alla romanità con Nerone”.
Qual è, ancora oggi, l’attualità di Cavalleria rusticana che, da sempre, è considerata il capolavoro di Mascagni?
“Cavalleria è opera sempreverde per la sua immediatezza e per la sua tematica, perché la gelosia farà sempre parte del rapporto fra uomo e donna. Poi c’è, nell’opera, un altro rapporto, quello molto spiccato con il territorio e la natura. E un ulteriore fattore che ne sottolinea l’attualità. Trattandosi di un’opera breve, all’epoca questo poteva sembrare limitativo, per cui veniva sempre accoppiata con un’altra opera, sia di Mascagni (pensiamo a Zanetto, Silvano e talvolta Amica) che di altri autori. Oggi non è più così: un’ora e venti minuti intensi di Cavalleria saziano le emozioni dello spettatore molto più di quanto avvenisse nell’Ottocento o a inizio Novecento. Per questo è un’opera assoluta, destinata a non passare mai di moda”.
Ma ha punti deboli? Mascagni poteva, forse, fare di meglio in alcuni passaggi?
“Cavalleria è un’opera unitaria. C’è una parte che è stata indicata da alcuni come più debole, quella della Canzone di Alfio. Io trovo invece che sia un brano funzionale e ben inserito nel substrato musicale dell’opera che, non si deve dimenticare, è del 1890, quindi di fine Ottocento. Un periodo in cui termina un percorso musicale e ne viene avviato un altro”.
Alcuni sostengono che dopo Cavalleria rusticana il compositore livornese non sia più riuscito a toccare le vette eccelse della composizione. Allora, chiedo, c’è un’opera che può essere considerata la sua peggiore in assoluto?
“Difficile parlare di un’opera peggiore di tutte le altre. Semmai si può dire che Amica è, sicuramente, una delle meno riuscite. È un’opera quasi sperimentale. Con cui Mascagni chiude il percorso verista e comincia il Mascagni estetizzante. Penso all’intermezzo sinfonico veramente monumentale così come al preludio, che preannunciano composizioni maggiori come Isabeau e Parisina, e Rapsodia Satanica, composizioni con le quali il musicista enuncia la sua maturità, il suo periodo migliore. E poi c’è un’opera da riscoprire, Iris. Un’opera che ha, per l’epoca, un lato sociale interessante, che parla della violenza sui minori e del degrado urbano. È datata 1898, ha rimandi puntuali sia all’arte giapponese che alla pittura del periodo impressionista. Ci sono momenti che si ritrovano, ad esempio, nella pittura di Monet e di Nomellini. Siamo di fronte ad un ricongiungimento ad altre forme d’arte da sfruttare nella messa in scena. Mascagni si inventa un Giappone tutto suo, creando un insieme molto particolare e originale”.
È vero che le partiture mascagnane, per i cantanti, sono piuttosto difficili?
“È vero, ma è una caratteristica che ritroviamo anche in Puccini, Giordano, Cilea… tutti musicisti coevi a Mascagni. Ma anche in altri, come ad esempio Zandonai, più giovani di una decina d’anni. È il periodo che porta a un certo tipo di composizioni, che pesano molto sulle voci, ma non ritengo che sia un elemento discriminante”.
Quali sono stati i migliori interpreti mascagnani?
“Tanti sono passati alla storia. Penso alla Cavalleria del debutto con Gemma Bellincioni nel ruolo di Santuzza ed il tenore Roberto Stagno in quello di Turiddu (Roma, teatro Costanzi, 17 maggio 1890). penso ancora a Giovan Battista De Negri nel Guglielmo Ratcliff, a Enrico Caruso in Iris, a Hipólito Lázaro in Parisina, a Bernardo De Muro in Isabeau, al livornese Galliano Masini. Poi uno stuolo di soprani: Emma Carelli, Maria Farneti, Lina Bruna Rasa a proposito di Cavalleria (Mascagni la considerava una Santuzza perfetta) ma anche di Nerone. Meriterebbe essere l’argomento di una nuova pubblicazione”.
Arriviamo a Pietro Mascagni al di fuori del ruolo di musicista e direttore d’orchestra, anche delle sue opere. Parliamo dell’uomo Mascagni, del suo rapporto con Livorno…
“Con la sua città il rapporto era di amore-odio, come ogni buon livornese. Ma i suoi successi, che lo portavano in giro per il mondo, doveva e voleva portarli anche a Livorno, perché la città e i livornesi erano i suoi punti di riferimento, il suo porto sicuro. Anche se momenti di attrito fra il compositore (nato il 7 dicembre 1863 in piazza delle Erbe, oggi piazza Cavallotti, zona Mercato, ndr) e i livornesi ci sono stati, ma sempre superati. E non si può non ricordare l’eccezionale affetto della sua città in almeno due occasioni. La prima dimostrazione risale al 1940, quando venne celebrato al Goldoni il cinquantenario della Cavalleria rusticana: il teatro era pieno fino all’inverosimile, una folla strabocchevole voleva esserci per omaggiare Mascagni. E un’occasione molto triste: era il 1951, quando la salma di Mascagni, sei anni dopo la morte (avvenuta a Roma il 2 agosto 1945 nell’appartamento al Plaza dove il musicista abitava da anni, ndr), venne traslata dalla capitale al cimitero della Misericordia. Tutta la città si riversò a seguire il mesto corteo funebre, tra affetto e grande commozione”.
E Pietro Mascagni l’artista, l’uomo di mondo?
“È sempre stato un artista inquieto, sempre alla ricerca della propria affermazione. Quasi non ha conosciuto pace. Poi era un gran signore, fine nel gesto , raffinato, anche se ogni tanto era capace di esplodere. Piaceva molto alle signore, parlava bene il francese e altrettanto bene lo scriveva, come l’italiano. Fu un bellissimo ragazzo fino ai trent’anni, poi uno splendido uomo maturo. Invecchiando i tratti si fecero più dolci, con lo sguardo sognante, un po’ perso, di un artista che guarda sempre oltre l’orizzonte”.
Il volume è pubblicato con il patrocinio del Comitato Promotore Maestro Pietro Mascagni (con una introduzione delle eredi Francesca Albertini Mascagni presidente e Guia Farinelli Mascagni direttore artistico), sotto l’egida del Circolo Musicale Amici dell’Opera “Galliano Masini” di Livorno e con il contributo di Hdi assicurazioni. Le immagini nel testo sono della Collezione privata Fulvio Venturi, del Comitato Promotore Mascagni di Roma e dei Metropolitan Opera Archives di New York. La direzione editoriale è di Maddalena Paola Winspeare, il progetto grafico di Laura Belforte, l’editing di Giulia Perni e Giulia Bastianelli, la traduzione in inglese di Sarah Thompson e Rachele Salvini.