Novembre 1898: l’attesa spasmodica di Iris, sublime ikebana. Analisi storica e musicale dell’opera di Mascagni (con fotogallery)
di FULVIO VENTURI
Iris è un’opera insolita. Già la trama. Giappone, epoca Edo. In un villaggio ai piedi del Fujiyama vive Iris, dedicandosi completamente ad accudire il padre cieco. Iris, adolescente ingenua ed illibata, è anche molto bella e di lei s’invaghisce un giovane ricco ed annoiato che sfoga la propria ansia esistenziale nell’erotismo. Questi è Osaka, il quale con l’aiuto di un lenone, Kyoto, la fa rapire. I due inviano Iris al Yoshiwara, il quartiere dei piaceri e lasciano uno scritto e del denaro al Cieco facendo intendere al vecchio che Iris si è venduta volontariamente. Nella casa di piacere di Kyoto al Yoshiwara Osaka tenta di sedurre Iris con l’offerta di vesti e gioielli, e si rivolge alla ragazza con un linguaggio pervaso di sottili allusioni erotiche, ma tutto è inutile. Iris non capisce. Allora tenta una via di seduzione più diretta, dicendo alla ragazza che egli stesso è il piacere fatto persona. Iris lo respinge. Al tempio ha udito un bonzo rivelare un mistero. Sulla riva di un mare morto, dal colore del bronzo, una piovra ha avvinghiato una ragazza con i suoi tentacoli e dopo averla fatta fremere in tutto il corpo l’ha trascinata negli abissi. Una pulsione onirica ed orgasmica che spaventa ed uccide. E’ evidente la simbologia piovra-piacere-morte. In quel momento sopraggiunge il Cieco che si è fatto guidare fin là ed offende la figlia lanciandole contro manciate di fango. Iris, disperata, si getta da un balcone e finisce in un dirupo.
In quel dirupo, che è una discarica popolata da rag-pickers (i “cenciaiuoli”) che ne seviziano il corpo per spogliarlo delle vesti preziose di cui era stato rivestito nella casa di piacere, Iris, dopo aver trascorso una notte in agonia, muore al sorgere del giorno domandandosi il perché di tutta la vicenda, mentre un raggio di sole la illumina, facendola salire a Nirvana.
Sì, va bene, sono gli anni dell’esotisme, ma Mascagni non si limita a creare una bella oleografia. Madama Butterfly è nel mondo dei sogni e ci rimarrà per altri sei anni. Per questo suo Giappone fantastico, erotico e crudele visita la scala esatonale – e non si pensi ad una possibile dipendenza dalle Pagodes di Debussy, che verranno più tardi – trova sonorità originali, orchestrando una eco di samisen, cimbali e gong udita nella collezione fiorentina di Alessandro Kraus col “terzo” suono di Tartini, inventa una vocalità flessibile e ardita, inesorabili ritmi binari che si sposano con serenate dove il figlio del sole canta.
Grande invenzione; Iris sublime ikebana, come un critico scriverà un secolo dopo. Mascagni in questo caso è avanti a tutti. Persino il libro dannunziano d’Alcyone, con i suoi mari asiatici iridescenti come pietre d’opale, immobili nei loro riflessi di gemme fuse, tanto vicini alla “plaga d’un gran mare morto color del bronzo” di Iris, ancora biancica come una riga di vele en panne nell’iperuranio vaticinale. Infatti esso sarà pubblicato solo nel 1903, cinque anni dopo la venuta di Iris.
Il paragone pittorico è di nuovo quello che convince di più.
Il finissimo segno grafico di Katsushika Hokusai della grande onda, del dragone di fumo, delle cascate di Yotshitsune è un punto di riferimento imprescindibile, tanto per Illica, quanto per Mascagni e il sogno della moglie del pescatore, nel suo tangibile parallelismo con l’aria della piovra, diventa l’icona dell’opera. Parimenti le voci sinistre dei personaggi mortuari che aleggiano come vampiri attorno all’agonia di Iris, sembrano galleggiare sulle acque lutulenti delle nymphéas di Monet.
Iris, nel suo insieme, è stata espressione Art Nouveau delle più alte.
La rappresentazione fu preparata con i crismi dei grandi momenti artistici e culturali. Dalla edizione dello spartito per canto e pianoforte e del libretto-programma di sala, decorati da Adolf Hohenstein e da Cesare Barbella (splendidi esempi grafico-editoriali), alla bellissima messa in scena dello stesso Hohenstein, ogni tratto, ogni particolare fu mirato ad esotismo e simbologia.
L’editore Ricordi fece le cose in grande corredando la produzione di Iris con altri materiali a stampa (oggi si chiamerebbero gadgets), tra i quali figurarono variopinti chiudilettera con un ritratto di Mascagni o con il titolo dell’opera, calendarietti, ed una serie di dodici cartoline-ricordo disegnate da Hohenstein e da Giovanni Maria Mataloni.
Così Iris andò in scena il 22 novembre 1898 al Teatro Costanzi di Roma.
L’attesa per l’opera fu spasmodica. Nei giorni precedenti la rappresentazione, un fascicoletto posto in vendita per l’occasione, con un ritratto di Mascagni in copertina, la trama dell’opera e poche altre notizie, andò letteralmente a ruba. Iris ebbe un gran successo, dovuto alla vena non comune della quale Mascagni perfuse la sua partitura, ma la profonda ricerca musicale, i reali tratti di novità, l’altissimo messaggio sociale lanciato dal livornese e da Illica furono misconosciuti.
Non a caso l’unico momento di crisi durante la prima rappresentazione assoluta si ebbe durante il bellissimo terzo atto, quando i “cenciaiuoli” sono in scena e l’approfondimento armonico ed il messaggio simbolico sono più pronunciati. Nell’opinione della critica e del pubblico, anzi, si formò l’opinione che questo terzo atto di Iris fosse un’appendice quasi inutile alla vicenda ed alla partitura. Mascagni reagì per la verità in modo incomprensibile con tagli e taglietti che parvero quasi avallare quella tesi. Un atteggiamento che ripeterà quindici anni dopo con Parisina.
Iris è stato tuttavia per tanto tempo uno dei titoli più visitati dell’intero repertorio operistico, toccando quasi le ottocento produzioni prima di essere contrassegnata da un inspiegabile ostracismo critico ed esecutivo.
(“Iris” è attesa al Teatro Verdi di Pisa nell’ambito della stagione lirica 2017/2018 il 13 e 14 gennaio2018, dopo le rappresentazioni al Teatro Goldoni di Livorno. In programma a Pisa anche una presentazione-aperitivo dell’opera mascagnana sabato 13 gennaio alle 11 nel foyer del Verdi).
5 comments
Grazie ancora
Onorare l’eccellenza è un dovere minimo.
Grazie a Teresa e a Sandro. Commenti come i vostri dicono che vale ancora il tempo della scrittura. Grazie davvero
Minuzioso studio della genesi dell’Iris mascagnana compiuto, come d’abitudine, con dotta competenza dal musicologo Fulvio Venturi, al quale oltre all’amicizia, va la mia profonda stima per il suo instancabile sforzo nella divulgazione delle opere del grande maestro livornese.
Grazie Fulvio.
Sinceramente senza parole per l’accuratissima e puntigliosa analisi storica, per i richiami culturali, per la prodigalità di informazioni al servizio di tutti. Stupisce sempre lo stile, capace di far immergere il lettore nel mondo descritto e raccontato.
Comments are closed.