Moby Prince: la Commissione “riscrive” il disastro e rimette in ordine le carte mentre Livorno si prepara per commemorare le 140 vittime nel 27° anniversario
Quando il prossimo 10 aprile, sulla banchina del Porto Mediceo di Livorno verranno letti uno dopo l’altro i nomi delle 140 vittime impressi sulla grande lapide in marmo (foto sotto a destra), i familiari potranno forse sentirsi un pochino più sollevati. Il dolore resta, le lacrime scorreranno ancora copiose sui volti di padri, madri, sorelle, fratelli, amici, le rose rosse saranno ancora affidate alle correnti marine… per non dimenticare. Mai. Ma questa volta, dopo tanti anni, ai loro morti potranno dire che forse, oggi, la verità è un po’ più vicina.
Quasi 27 anni dopo la tragedia nella rada di Livorno, dove la sera del 10 aprile 1991 centoquaranta persone fra marittimi e passeggeri trovarono la morte a bordo del traghetto Moby Prince in fiamme dopo essere entrato in collisione con la petroliera Agip Abruzzo alla fonda, la Commissione d’inchiesta del Senato sul disastro, presieduta dal senatore Silvio Lai, ha presentato a Roma, mercoledì 24 gennaio 2018, la relazione conclusiva, che riassume due anni di lavori, oltre 100 fra audizioni e riunioni, e nuove consulenze. Anche se le cause della collisione restano sconosciute – si è ancora nel campo delle ipotesi – su altri aspetti la Commissione ha fornito nuove chiavi di lettura e riflessione, puntando in particolare il dito sui soccorsi, sulle assicurazioni delle navi coinvolte nel disastro e sul viaggio che aveva portato a Livorno l’Agip Abruzzo.
Secondo i senatori componenti della Commissione, la tragedia non avvenne per colpa della nebbia o per imprudenza dell’equipaggio del traghetto, e altre persone – oltre al mozzo Alessio Bertrand, unico superstite – potevano essere salvate, perché la vita a bordo, almeno per alcuni, sarebbe durata oltre i 30 minuti indicati dai periti medico-legali della Procura. Nella relazione finale della Commissione si parla di “pressioni” perché le salme fossero restituite in tempi brevi alle famiglie, “procedendo in tal modo, limitando l’attività principalmente alla identificazione dei resti delle vittime, nella maggioranza dei casi si è omesso di effettuare gli esami tossicologici e le relative autopsie”. Il lavoro dei senatori ha anche messo nero su bianco che la petroliera aveva l’àncora in zona di divieto di ancoraggio e che i soccorsi, per quanto riguarda il traghetto, furono inesistenti. Un’evidenza che in tutti questi anni ha angosciato i familiari: nessuno, quella tragica sera d’aprile di tanti anni fa, cercò il Moby, tutti i mezzi furono indirizzati sulla petroliera e il traghetto fu trovato oltre un’ora dopo dagli ormeggiatori che trassero in salvo l’unico superstite aggrappato alle ringhiere di poppa. Eppure il Moby Prince (nella foto sopra il titolo la copertina del libro “Moby Prince. Novemila giorni senza verità” edito da Ets, ph. Pentafoto / Riccardo Repetti) era stata l’ultima nave ad uscire dal porto: dalla plancia avevano comunicato i dati di viaggio alla Guardia costiera, poi lo scafo era sfilato sotto la torre dell’Avvisatore Marittimo, prima di uscire dalla diga della Vegliaia per cominciare la traversata verso Olbia, dove sarebbe dovuto giungere la mattina dell’11 aprile verso le 7. Nessuno, il 10 aprile del 1991, dopo la richiesta di soccorso lanciata dalla petroliera Agip Abruzzo contro la quale aveva urtato una nave, pensò di chiamare il traghetto passeggeri. E le barche di soccorso con gli schiumogeni puntarono tutte sulla petroliera.
La relazione senatoriale – come detto – aggiunge alcuni spunti di riflessione. A partire dall’accordo assicurativo fra armatori, due mesi dopo la tragedia, anche se era già noto da allora che c’erano stati contatti per garantire i risarcimenti ai parenti delle vittime, per arrivare alla poca trasparenza dell’Agip Abruzzo riguardo alle tappe del viaggio precedenti l’arrivo a Livorno. E ribadisce anche situazioni già in passato evidenziate sia a livello investigativo che amministrativo, come ad esempio l’indagine conoscitiva della Commissione Trasporti della Camera dei deputati avviata nel 1998 sulla sicurezza del trasporto marittimo e sulla tragedia del Moby… nella quale fu scritto che “mancò nel porto un coordinamento capace e tempestivo nell’organizzazione dei soccorsi”.
Di fatto, sebbene evidenziando carenze nelle indagini dell’epoca e ipotizzando condizionamenti (il riferimento è all’inchiesta sommaria prevista dal codice della navigazione e svolta dalla stessa Capitaneria, coinvolta in prima persona nella gestione dei soccorsi; a questo proposito la Commissione, fra i suggerimenti finali, indica di riscrivere l’articolo del codice della navigazione che norma l’istituto dell’inchiesta sommaria), la relazione mette ordine nell’inchiesta sgombrando il campo da tutte quelle ipotesi, in alcuni casi definite da molti “fantascientifiche” (terrorismo, intimidazioni, traffici illeciti di armi nel porto di Livorno, ipotetici collegamenti con l’uccisione di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin in Somalia…), che hanno accompagnato questi 27 anni di attesa dei familiari. Ipotesi che, spesso, anziché aiutare la ricerca della verità hanno fatto disperdere le energie seguendo piste rivelatesi inconcludenti.
La commissione afferma che a bordo del Moby Prince non scoppiò una bomba. Come è noto già dai mesi successivi alla tragedia, un perito chimico della polizia rinvenne tracce di sostanze esplosive nel locale bow-trhuster, che ospitava i motori per la movimentazione delle eliche di prua. In quel locale c’erano evidenti tracce di esplosione, ma mai fu detto che era esplosa una bomba. Mai fu rinvenuto un possibile innesco. E gli esperti di Mariperman, istituto della Marina militare, chiamati per una disamina della situazione affermarono che il locale era stato interessato da una esplosione di gas. Una ipotesi condivisa dalla Commissione d’inchiesta, ritenendo plausibile che sia avvenuta dopo l’impatto con la petroliera. E’ infatti logico il collegamento con i gas sprigionati dagli idrocarburi durante l’incendio.
Nella relazione finale, viene anche esaminata la posizione della petroliera: è stato messo nero su bianco che aveva la poppa verso terra e la prua verso il mare aperto. Quindi si esclude che il Moby Prince, al momento della collisione, stesse tornando indietro verso il porto. Durante i lavori, senatori e consulenti hanno approfondito l’ipotesi che la causa della collisione possa essere stata un’avaria al timone – tesi sostenuta da subito da un consulente di parte civile, l’ingegner Giovanni Mignogna, che è stato audito a Roma – senza tralasciare la possibilità di un ostacolo esterno, come una bettolina o un altro natante.
Per quanto riguarda i tracciati satellitari, la Commissione ha svolto un’intensa attività, anche verso la Nato e gli Usa. Molte, infatti, la sera del 10 aprile 1991 erano le navi americane militarizzate ferme in rada in attesa di ordini dopo la fine (da poche settimane) della guerra del Golfo, senza tralasciare la presenza appena a nord di Livorno della base logistica Usa di Camp Darby. Ma come già accaduto in precedenza le ricerche dei tracciati non hanno avuto esito, nel senso che sembrano non esistere.
La Commissione, è stato detto durante la presentazione della relazione, ha proceduto anche all’analisi del fondale nell’area della tragedia con l’utilizzo di un mezzo della Marina militare. Ricerche erano già state effettuate con navi militari anche durante la seconda inchiesta sul disastro, aperta a metà anni Duemila dalla Procura di Livorno dopo un’istanza dell’avvocato Palermo per conto dei fratelli Chessa, i figli del comandante del Moby, e di un altro familiare delle vittime. Il presidente Lai ha informato che in prossimità dell’area di mare indicata sono stati rinvenuti reperti metallici “appartenenti presumibilmente alle due navi e segnatamente parti di lamiere derivanti dalla collisione e verosimilmente riconducibili alla petroliera”.
La relazione conclusiva è stata prima presentata ai parenti delle vittime, riuniti nelle due associazioni, 140 rappresentata da Loris Rispoli e 10 Aprile rappresentata da Angelo e Luchino Chessa, poi nel pomeriggio in una conferenza stampa a Palazzo Giustiniani. E’ intervenuto il presidente del Senato Pietro Grasso che ha sottolineato come la tragedia del Moby Prince è “un dramma che sconvolse la coscienza del Paese” mentre il premier Paolo Gentiloni ha parlato di “ferita ancora aperta”.
La relazione finale con relativi atti sarà ora trasmessa per conoscenza anche alla Procura. Spetta infatti ai giudici valutare se dai nuovi atti emergano situazioni tali da poter avere un risvolto penale. Angelo Chessa ha ribadito che il primo processo è stato “una vergogna” per la giustizia e di sperare in una revisione per arrivare a punire i veri colpevoli. Forte anche l’intervento di Loris Rispoli, che non ha mai smesso di battersi nella ricerca di “verità e giustizia”, le parole scritte sugli striscioni che ogni 10 aprile i familiari delle vittime espongono in corteo, dal centro di Livorno fino al Porto Mediceo.
Nelle conclusioni, come già accennato, la Commissione fa anche alcune proposte: a) l’attribuzione alla Procura Distrettuale della materia dei grandi disastri; b) la riforma del codice della navigazione (il riferimento è all’articolo 578 che parla dell’inchiesta sommaria affidata alle Capitanerie di porto, ndr); c) le relazioni dell’autorità giudiziaria con le autorità di altri Stati. (elisabetta arrighi)