L’intuizione “moderna” di Pietro Mascagni con il film di Nino Oxilia animato dal (quasi) poema sinfonico di “Rapsodia satanica” ben diretto a Genova da Valerio Galli. Poi un delizioso “Gianni Schicchi” con la regia del maestro Panerai

di FULVIO VENTURI
Nella vaghissima Mascagni-renaissance odierna, che ha portato alle produzioni londinesi di Iris ed Isabeau, a molte di Cavalleria e Fritz, ad un’altra di Guglielmo Ratcliff a Wexford, al Sì livornese ed alle Iris toscane, e che recherà ad un allestimento concertante di quest’opera al Real di Madrid, Rapsodia Satanica è stata prodotta al Carlo Felice di Genova (sopra il titolo locandina storica di “Rapsodia satanica”, in basso a destra Pietro Mascagni e a sinistra Valerio Galli).
Rapsodia satanica. Per una volta in più si tratta di una felice intuizione mascagnana, in questo caso nell’appena nato campo cinematografico.
Pietro Mascagni, infatti, è stato tra i primi musicisti a intuire le infinite possibilità di sviluppo del cinematografo, allora definito un po’ retoricamente, “la settima arte”. Correvano gli Anni Dieci del Novecento. La colonna sonora di “Rapsodia satanica”, composta dal maestro livornese tra il 1914 ed il 1916, fu la risultante di un contratto con la Casa cinematografica Cines, diretta  dal barone Alberto Fassini (1875 – 1942). Il film “Rapsodia satanica” fu invece basato su un poema del crepuscolare Fausto Maria Martini la cui sceneggiatura fu compiuta da Nino Oxilia, letterato e artista torinese della cerchia gozzaniana, già autore, insieme con Sandro Camasio di una commedia famosissima, “Addio Giovinezza”. Purtroppo nessuno dei due sopravvisse a lungo, morendo Sandro Camasio nel 1913 di meningite e Nino Oxilia sul fronte di guerra nel 1917, pochi mesi dopo l’uscita di “Rapsodia satanica”.
Mascagni Pietrino
Nel preambolo del poema Fausto Maria Martini enunciò didascalicamente quelli che erano gli intenti artistici della pellicola, i quali, alla luce dei risultati conseguiti dal mondo legato al cinematografo assume quasi valore profetico: “Con animo sicuro di contribuire validamente alla elevazione intellettuale dell’opera cinematografica, ormai vicina a raggiungere la sua trasformazione in senso puramente artistico, presentiamo al pubblico questa RAPSODIA SATANICA saggio di un’arte cinema-lirica  nuovissima concepita e condotta con intendimenti di seria ricerca”.
Il film rivisitò al femminile il tema già trattato poco tempo prima da Oscar Wilde con “Il ritratto di Dorian Gray”. Una contessa, Alba d’Oltrevita, un tempo bellissima, stringe un patto con Mephisto per tornare giovane e ritrovare la sua avvenenza, in cambio del divieto d’innamorarsi. Riacquistata la giovinezza, di Alba s’innamorano perdutamente due fratelli, Tristano e Sergio. Questi si uccide in seguito al rifiuto di Alba che tuttavia s’innamora di Tristano e si accinge a sposarlo. A questo punto però rientra Mephisto che esige l’osservanza del patto. Alba muore di dolore quando la sua bellezza svanisce definitivamente.
Al film prese parte la super diva Lyda Borelli, che raggiunse in quel periodo fanatismo di culto, e con lei Andrés Habay (Tristano), Ugo Bazzini (Mephisto) e Alberto Nepoti (Sergio).
Mascagni per tutto un anno portò avanti un lavoraccio faticosissimo, tra moviole, sincroni, cronometri. Non poteva sbagliare una battuta, né indulgere a certi compiacimenti melodici pena il fallimento del lavoro. La musica doveva essere tutta “contenuta” dai fotogrammi del film. Ne uscì fuori una partitura asciutta, di una cinquantina di minuti, quasi un poema sinfonico, che recava la testimonianza di quanto Mascagni aveva composto in precedenza, Parisina, con la sua densa atmosfera tristaniana, e citazioni colte: la Ballade n.1 in Sol minore op. 23 di Chopin, ma funzionale alle immagini che scorrevano sullo schermo senza essere un trito commento.
Alberto Gasco, dalle pagine del quotidiano “La Tribuna”, notò che la partitura mascagnana non si limitava ad accompagnare la successione dei fotogrammi, ma ne costituiva l’asse portante. Per il critico “Rapsodia satanica” rappresentava, nell’insieme delle riprese di Nino Oxilia, del poema di Fausto Maria Martini che serviva da didascalia e la musica di Mascagni, lo sviluppo con mezzi moderni del concetto d’opera d’arte totale.
Straordinario documento dell’epoca, “Rapsodia satanica” fu eseguito per la prima volta il 5 luglio 1917 al Teatro Adriano di Roma. Pietro Mascagni era sul podio.
In seguito il musicista livornese prese in esame la possibilità di lavorare su altri soggetti cinematografici, tra i quali un “Garibaldi” sceneggiato da Enrico Ferri, noto deputato socialista, ma nonostante il fatto che fosse egli fortemente interessato alla figura dell’Eroe dei Due Mondi al punto da possedere nella propria collezione pittorica il famoso ritratto equestre firmato da Plinio Nomellini, decise infine di non dare seguito a tali progetti. Nel 1933, tuttavia, scrisse riadattando “La ballata di Maggio” composta nel 1911 per il “Dante” di Maso Salvini (un testo teatrale) il brano eponimo per il film “La canzone del sole” di Max Neufeld e Giovacchino Forzano e nel 1936 partecipò alle riprese della “Regina della Scala” interpretando se stesso alla direzione di uno spezzone filmato del “Nerone”. Si trattò nondimeno di un’apparizione brevissima. Il mondo del cinema tentò un’ultima volta Pietro Mascagni nel 1937 prima con una “Santa Barbara”, forse dal poema di Giovanni Targioni Tozzetti, e poi con un grande progetto su “Cavalleria rusticana”, ottenendo però dei rifiuti abbastanza marcati. Così la prima versione sonora di “Cavalleria rusticana”, uscita nel 1939 per la regia di Antonio Palermi con un cast di tutto rispetto (Isa Pola, Carlo Ninchi, la livornese Doris Duranti, bellissima, e Leonardo Cortese), miglior pellicola italiana secondo un referendum della rivista “Cinema”, uscì con il commento musicale di Alessandro Cicognini che secondo la moda del periodo della elaborazione di temi folkloristici (vedi “Sardegna” di Porrino, “Monte Mario” di Liviabella e altro) che per questa sua decorosa fatica rivisitò le radici musicali siciliane.
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D’altra parte Mascagni non amava il sonoro fino al punto di affermare “perché io, al cinematografo, non ho mai potuto afferrare nessuna frase di quel brontolìo, sopra una nota sola, di quei signori che parlano sullo schermo.”
Singolare per uno che vent’anni prima al cinema aveva dato così tanto.
Valerio Galli, uno che crede in questo repertorio e in queste operazioni, ha diretto con perizia la ricca partitura di Rapsodia satanica, con scelte di tempo perfettamente sincronizzate con la pellicola di Oxilia, così come aveva fatto non molto tempo addietro al Concertgebouw di Amsterdam.
L’ancor giovane maestro viareggino si è dimostrato in gran spolvero anche nel pucciniano Gianni Schicchi, assai rischioso da dirigere certamente per la finezza dei colori ed il respiro novecentesco che si deve sentire, ma soprattutto per quella tendenza di tanti a trasformare in farsa l‘acre sarcasmo di quest‘opera, qui fortunatamente elusa.
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Rolando Panerai (da YouTube)
Di buon livello il cast che presentava in Matteo Desole forse il miglior Rinuccio da noi ascoltato in teatro. Il giovane tenore sardo non ci era sfuggito già l‘anno passato in una parte di fianco della Francesca da Rimini scaligera e qui ha rappresentato una piacevole sorpresa: bella voce, acuti lunghi e squillanti, musicalità, disinvoltura. Di Federico Longhi, protagonista, non dimenticheremo il fraseggio pulito e la volontà di cantare dove altri gigioneggiano forzatamente e di Serena Gamberoni la bella linea di canto unita alla freschezza che il personaggio di Lauretta richiede. Molta classe nel cammeo di Sonia Ganassi che insieme con il veterano Luigi Roni (che ascoltai per la prima volta nel 1971 in una Turandot fiorentina quale Timur al fianco di Domingo, Hana Janku e Maria Chiara sotto la bacchetta di Georges Prêtre: ad multos annos per me e per lui) capeggiava il resto del cast composto da Aldo Orsolini, Gherardo, Francesca Benitez, Nella, Enrico Marabelli, Betto, Marco Camastra, Marco, Elena Belfiore, La Ciesca, Matteo Peirone nel doppio Maestro Spinelloccio-Ser Amantio, nonché Davide Mura e Giuseppe Panaro. Ci dispiace molto che non fosse indicato il nome dell‘adolescente Gherardino: il programma di sala era nondimeno ben fatto con un bellissimo saggio di Massimo Petroselli su Rapsodia satanica. Ottima l‘orchestra e belli i costumi di Vivien Hewitt, ma una menzione a parte, tutta affetto e ammirazione spetta a Rolando Panerai che, artista di quelli veri, dopo cinquant‘anni di canto su tutti i palcoscenici del mondo, guidato dai più grandi direttori, ha firmato una lucidissa regia. Chapeau, Maestro.
  • Al Teatro Carlo Felice di Genova “Rapsodia satanica” (con la pellicola restaurata dalla Cineteca di Bologna) e “Gianni Schicchi” sono di nuovo in scena nei giorni 13 e 14 aprile: doppio spettacolo, alle 15.30 e alle 20.
  • Biglietti: da 30 a 50 euro, Previste riduzioni.