Le festa della musica per archi nella serata che il Goldoni di Livorno ha dedicato alle Quattro Stagioni di Vivaldi e al Concerto in Mi minore di Pietro Naldini. Con il virtuosismo e l’empatia del violinista (e concertatore) Marco Fornaciari con la giovane orchestra del teatro. La recensione di Fulvio Venturi
di FULVIO VENTURI
È stata una festa della musica per archi il concerto al Teatro Goldoni con le Quattro Stagioni di Vivaldi e il Concerto per Violino di Nardini. E fulcro della festa, come un signore settecentesco, illuminato e sereno, lui, il violinista Marco Fornaciari. Pur con una carriera ultra cinquantennale alle spalle – avendo esordito professionalmente proprio al Goldoni durante la Stagione Lirica del novembre 1969 – Marco Fornaciari non ha perduto alcunché della eleganza, della virtuosistica precisione e della comunicativa che sempre lo hanno contraddistinto. Raffinatissimo nei tempi lenti, sempre puntuale nei passi veloci, generoso con l’orchestra e con il pubblico.
Ricordiamo Marco Fornaciari in numerose serate, dalle diverse esibizioni quale “spalla” dei Solisti Veneti, ad un concerto con la pianista Alessandra Dezzi durante il quale alternò il violino con la viola (e a questo riguardo una magnifica esecuzione della Sonata op. 147 di Shostakovich), da una storica manifestazione in Goldonetta ove suonò con gli Amati e gli Stradivari appartenuti a Niccolò Paganini, al Concerto dell’Albatro di Giorgio Federico Ghedini con l’Orchestra di San Remo. Tutte serate degne di menzione per dedizione e qualità musicale.
Marco Fornaciari ha aggiunto martedì 29 novembre 2022 una nuova gemma al suo mirabile palmares agendo tanto da solista, quanto da concertatore dell’Orchestra della Fondazione Goldoni. I quattro concerti vivaldiani da Il cimento dell’Armonia e dell’Invenzione – La Primavera, L’Estate, L’Autunno e L’Inverno – hanno avuto un’esecuzione estatica, quasi favolistica, tutta vòlta alla messa in valore della “virtù” compositiva di queste magistrali e ora popolari pagine. Prorompente l’incipit primaverile, quasi accidioso il calore estivo, pittoresche le cacce autunnali, riflessivo, contemplativo il “largo” invernale. Nessuna concessione esteriore, solo atmosfera e qualità globale.
Una straordinaria eleganza e qualche apertura all’incipiente romanticismo nella spuria pagina nardiniana (Pietro Nardini, appunto, non compose mai il “suo” concerto per violino in Mi minore, che fu assemblato da Miska Hauser nel 1880 traendolo dai 6 soli per violino e basso continuo del 1761; questi, sì, opera di Nardini). Fornaciari ha poi deliziato la platea con due squisiti fuori programma: un “capriccio” di Karol Josef Lipinsky, brano del quale il violinista livornese detiene quasi un’esclusiva (fu da lui anche inciso oltre trenta anni or sono) e la “siciliana” dalla Prima Sonata per violino solo di Bach. Ha chiuso la serata il “bis” del tempo lento nardiniano. Serata che si dedicava ad un altro eminente violinista livornese, Roberto Michelucci, nel centenario della nascita.
Al termine applausi festosissimi a Fornaciari, agli eredi Michelucci la cui presenza era stata annunciata dal direttore generale Mario Menicagli al proscenio nella presentazione della serata, alla giovane orchestra tutta d’archi, da parte del pubblico ancora una volta affluito al Goldoni in gran messe.
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