LA STAGIONE LIRICA DEL GOLDONI. È tempo di Carnevale e il teatro livornese mette in scena “Le Maschere” di Pietro Mascagni. Fra commedia dell’arte e metateatro, con frizzi, lazzi, intrighi… ma il debutto (il 17 gennaio del 1901) fu un fiasco nonostante la bellezza della musica. Una storia tutta da raccontare: ecco un breve saggio di Fulvio Venturi
Il Teatro Goldoni di Livorno sta per alzare il sipario sulla nuova produzione dell’opera “Le Maschere” di Pietro Mascagni. L’appuntamento è per il 10 e 11 febbraio 2023 (ore 20) – in tempo di Carnevale – nell’ambito della stagione lirica. Sul podio dell’Orchestra del Teatro Goldoni ci sarà Mario Menicagli (maestro del Coro Maurizio Preziosi) mentre regia, scene e costumi sono di Luigi Di Gangi e Ugo Giacomzzi.
“Le Maschere”, commedia lirica e giocosa in una parabasi e tre atti di Luigi Illica (Debuttò alla Scala di Milano nel gennaio 1901), vedrà il seguente cast: Giocadio impresario / Luigi Di Gangi / Ugo Giacomazzi), Pantalone de’ Bisognosi ricco proprietario / Vladimir Alexandrovic, Rosaura sua figlia / Silvia Pantani / Valentina Corò, Florindo giovane laureato e amante corrisposto di Rosaura / Matteo Falcier, dottor Graziano uomo di legge / Giacomo Medici, Colombina sua domestica ma anche confidente di Rosaura e promessa sposa di Brighella / Rachele Barchi / Irene Bonvicini, Brighella venditore ambulante e confidente di Florindo / Marco Maglietta, il Capitan Spavento balandrano di casa Balandrana / Min Kim, Arlecchino Battocchio suo servitore / Didier Pieri, Tartaglia domestico in casa di Pantalone / Massimo Cavalletti.
A seguire ecco un breve saggio di Fulvio Venturi, studioso di Pietro Mascagni, critico, musicologo e scrittore.
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di FULVIO VENTURI
Tre anni dopo aver dato alle scene Iris, monumento del Floreale e del Simbolismo, ritroviamo il Mascagni che ti non aspetti, quello che dal dramma sociale passa alla commedia giocosa. Quando non era ancora compiuto lo schema della “giapponese”, Mascagni, insieme con Illica iniziò a concepire un nuovo soggetto da trarre dalle figure che animarono la Commedia dell’Arte. I due autori volevano compiere un omaggio al teatro italiano ed avviarono l’iter de Le Maschere.
L’idea è geniale.
Un direttore di scena raccoglie attorno a sé la compagnia degli attori ed impartisce gli ordini secondo i quali, quella sera, sarà recitato un canovaccio della commedia dell’arte. Qualcosa di simile a ciò che vent’anni dopo Luigi Pirandello realizzerà con i Sei personaggi in cerca d’autore. Nelle Maschere, con una attenta ricostruzione filologica, forse mutuata da un testo apparso pochi anni prima (Adolfo Bartoli, Scenari inediti della Commedia dell’Arte – Contributo alla storia del Teatro popolare italiano, G. C. Sansoni Editore, Firenze 1880) agiscono, divisi in “parti toscane” e “maschere”, i personaggi di Arlecchino, Brighella, Tartaglia, Pantalone, Graziano, Spaventa, Colombina, Rosaura, Florindo sviluppando una trama fatta d’intrighi, di false lacrime e d’amori manierati. E non mancano i lazzi, le scene di confusione e le rappacificazioni. Il libretto è bello, agile, non manca d’inventiva e Mascagni produce una musica elegante, svelta, dove abbondano pezzi di bravura e riferimenti a modelli pregressi. Un’opera senz’altro molto interessante che tuttavia il 17 gennaio 1901, data della prima rappresentazione, andò incontro ad uno dei più cocenti insuccessi della storia del teatro musicale. L’editore Sonzogno, che pubblicava i materiali de Le Maschere, in evidente spirito concorrenziale con Casa Ricordi, che nel 1898 aveva pubblicato quelli di Iris, preparò un avvenimento a sensazione allestendo l’opera contemporaneamente in sette città diverse: Milano, Roma, Napoli, Torino, Genova, Venezia, Verona. Il gran battage derivava da un’idea di Mascagni, che avrebbe voluto presentare l’opera nella stessa sera a Roma e a Milano, era sicuramente così eccessivo da risultare persino fastidioso. Mascagni, inoltre, peggiorò la situazione dedicando inopportunamente l’opera a se stesso “in segno di stima ed immutabile affetto”. La sortita frizzante faceva parte del clima giocoso de Le Maschere, ma certi atteggiamenti, anche se innocui e dettati con animo bonario, magari per semplice sensazionalismo, si pagavano a caro prezzo nell’Italietta seriosa e formale che premiava con una medaglia le cannonate di Bava Beccaris. Erano anche i giorni in cui moriva Giuseppe Verdi e, probabilmente, un marcato successo della nuova opera avrebbe designato Mascagni come erede del Bussetano. Dio ne scampi. Le Maschere caddero clamorosamente. Non venne colta l’insolita proposta del teatro nel teatro, né l’intenzione culturale volta al recupero della commedia dell’arte italiana. La critica voleva da Mascagni solo argomenti “veristi”, storie di coltello in puro stile Cavalleria e dopo il simbolismo di Iris, il finto “settecento” de Le Maschere, parve un nonsense.
L’insuccesso delle Maschere dette la stura ad una malcelata crisi. L’editore Belforte di Livorno pubblicò Vistilia, scene liriche di Giovanni Targioni Tozzetti e Guido Menasci per la musica di Pietro Mascagni, dal racconto omonimo di Rocco de Zerbi, ispirato da Tacito (Ann. II. 85). Era il libretto per una nuova opera, ma Mascagni si perse in altre beghe e Vistilia non arriverà mai a fine. Nel 1902 una tournée americana fallì miseramente per colpe non sue e in Italia fu costretto ad abbandonare la direzione del Liceo Rossini nonché a chiamare in tribunale l’amministrazione di Pesaro.
Artisticamente vagolò come un’anima persa. Non sapremo mai perché non portò a compimento Vistilia, che prometteva bene (forse per mancanza di un editore dopo il tonfo delle Maschere?). Invece esaminò per editori stranieri situazioni di non troppo valore, e compose, dietro un regale compenso, le musiche di scena per un bolso lavoro teatrale di Thomas Hall Caine, The eternal city.
Andò così che forse per necessità accettò una proposta dell’editore francese Paul Choudens. In un primo momento il contratto con Choudens prevedeva la realizzazione di due opere in un atto da eseguire nella stessa serata (Oletta e Madonnetta), poi l’accordo fu modificato e nacque Amica, che di atti ne ebbe due. Il librettista della nuova opera fu lo stesso Choudens sotto nom-de-plûme (Paul Berel) e Mascagni, che conosceva a menadito la lingua d’oltralpe, lavorò su un testo letterario in francese, tornando al “verismo”. Tuttavia prima di ritrovare il vero Mascagni sarebbero occorsi altri dieci anni, quelli necessari per la nascita d’Isabeau.
Il libretto delle Maschere attiene alla Commedia dell’Arte non solo per la parte formale, ma anche, e soprattutto per il carattere e l’espressione degli interlocutori. Sagome provenienti da certi modelli, i personaggi disegnati da Illica, tranne gli Innamorati, comunicano ricercando effetti immediati e talvolta ordinari. Immaginando l’anima gemella, Colombina esprime un concetto primario “Io sogno un ideale/ […] che più di un uom risulti un animale/ nell’animale uomo”. Per tutta risposta Arlecchino, palesando appetito sessuale, affonda lo sguardo nel decolleté della servetta ed esclama “Il colmo busto/ è tutto una cucina/ Ti guardo e sento il gusto/ della fame canina. Tutto un pranzo ammannito/ tu sei d’abile ostessa!/ Tu sei la monarchessa/ d’ogni egregio appetito!”, come per dirle che è tutta da mangiare; ed in altra scena (IX, atto terzo) il servo del Capitano identifica con la parola “passere” Rosaura e la stessa Colombina. Oppure accade che Florindo, con calore eccessivo, nella Serenata, canti a Rosaura “Perché sei nata figlia tanto bella/ d’un padre senza cuore/ Ah, che lo colga il fistolo/ ogni malore – ogni dolore!”. È lo «sdegno dell’innamorato», uno degli stereòtipi della Commedia dell’Arte, che obbligava l’interprete ad esagerare. Furono versi come questi che cento anni orsono fecero scatenare la caccia all’untore che propalava “la rosolia, la scabbia del brutto”, al grido di “il libretto è tutto una licenza”.
Non resta adesso che osservare come Illica ha sviluppato la sua trama. La commedia dell’arte fu essenzialmente commedia d’intreccio, e sempre d’intreccio amoroso, dunque ruotando attorno alla coppia degli innamorati – Rosaura e Florindo – nelle Maschere gli altri personaggi creano frequenti scene di grandi fracassi, di fughe generali, di comica confusione. La comicità delle Maschere non si limita a quella data dalle situazioni sceniche, ma coinvolge anche la satira politica. Brighella descrive gli effetti confusionari della “polverina”, paragonandoli ai rumori dei parlamenti di tutto il mondo, che definisce “tossi, catarri e reumi”. A bilanciare la dote recata dalla sposa, Il Capitano offre “a titol di spontaneo spillatico” una dominio coloniale a Rosaura. Si era nel 1901 e la fanfaronata del militare si mischia con il ricordo ancora prossimo della disfatta dell’esercito italiano a Dogali, che pochi anni prima aveva frustrato le ambizioni imperialiste del Regno d’Italia.
LA TRAMA
Illica fa aprire l’opera da un Còrago, che chiama Giocadio. Egli ha da fare una comunicazione ed interrompe l’esecuzione della sinfonia, che il direttore stava provando. Il librettista ed il compositore hanno avuto un’idea assai bislacca e vogliono far rivivere il mondo della Commedia dell’Arte, dunque hanno da impetrare la benevolenza del pubblico. Guardando alla classicità come fece la Commedia dell’Arte per l’istituzione del Còrago, questi, nelle Maschere, guida le fila di una giocosa parabasi, l’azione con la quale in Atene si difendeva l’autore dalle critiche degli avversari ridendo e scherzando. Giocadio spiega soggetto e finalità della commedia, intreccia forse dialoghi con il direttore d’orchestra o con persona del pubblico, poi chiama gli attori che nella commedia interpreteranno i vari personaggi. Entra subito il Dottor Graziano che dice con importanza cose poco comprensibili in dialetto bolognese, seguito dal veneziano Pantalone, già grave e lamentoso, noioso. Dopo i due Vecchi, entra il primo dei servitori, Arlecchino, che raccoglie un poco del carattere di ogni Zanni, mischiandolo nel suo. Nelle Maschere è il servo del Capitano. E dopo il primo servitore, si presenta Colombina. Questa è la servetta del Dottor Graziano, atteggiata sul tipo settecentesco, occhieggiante, promettente, briosa e pronta, belloccia, provvida di consigli alle innamorate. Il suo personaggio è antico e deriva dalla meretrix e dall’ancilla della comœdia latina, ma il suo carattere, nelle Maschere, non è così pronunciato, per quanto rimanga ammiccante. È dunque la volta di Tartaglia, balbuziente, domestico di Pantalone. L’etimo di questa maschera è incerto, ma senz’altro rintracciabile nella commedia napoletana. Parla in italiano ed intaccando sulle consonanti dice delle cose di scarso peso, che talvolta assumono un significato involontariamente scurrile, simpaticissimo. Nelle Maschere la sua balbuzie è ricalcata su quella espressa nella Doralice di Gregorace di Stilo. Entrano gl’Innamorati, Florindo e Rosaura, languorosi, dolci più dello zucchero. I loro cuori palpitano insieme e le loro voci, come una sola, cantano. Irrompono il Capitan Spavento e Brighella. Il Capitano vuole spaventare e sorprendere, ma non ci crede nemmeno lui. Brighella è astuto, vende di tutto, vuole fare carriera e il suo carattere somiglia quello di Burattino ed anche di Pedrolino. Si chiude la parabasi: non c’è più tempo per provare. L’orchestra attacca la sinfonia, le Maschere si presentano al pubblico e l’opera ha inizio.
Il primo atto si apre su una piazza di Paese. Brighella, con un carretto, vende le sue mercanzie, che vanno dai prodotti dell’orto alle cianfrusaglie, attorniato da molte donne. Colombina è tra loro ed è l’oggetto della sua corte. Rosaura, figlia di Pantalone de’ Bisognosi, manda a far la spesa Tartaglia, al quale Brighella consegna di nascosto un biglietto. È un biglietto che Florindo, l’innamorato corrisposto ma contrastato di Rosaura ha scritto per lei. La figlia di Pantalone riceve il foglio e legge. Nella lettera Florindo ha scritto che, confidando nell’aiuto dello zio Prosdocimo, il padre suo non avrà più ragione del rifiuto alla loro unione. Rosaura, al colmo della felicità, legge e rilegge la lettera da sola, quando sopraggiunge Colombina con una notizia terribile. Ha saputo dal Dottore che Pantalone vuol sposare la figlia ad un generale. Sgomento, disperazione tra le due giovani, sensi che aumentano quando entrano in scena Florindo e Brighella. Si cerca invano un espediente che impedisca le nozze indesiderate quando Tartaglia, che era stato posto da Colombina sulla porta in osservazione, annuncia spaventato l’arrivo di un Ufficiale. Entra quindi Pantalone con detto Ufficiale, il Capitan Spavento. Come se si trattasse di un grande avvenimento, la gente esce dalle case, guardando verso il fondo, dove Pantalone profonde inchini al Capitano. Il militare è accompagnato da Arlecchino, che reca la valigia degli onori e si presenta, con pirgopolinicea tracotanza, al volgo e all’inclita. È fatto tutto a punta, dal cappello alla spada. La sue parole hanno il suono di un tuono rimbombante, la gente ne è spaventata e, inorgoglito vieppù dall’effetto sortito, il Capitano varca la porta dell’Albergo della Luna. La sera stessa firmerà il contratto per sposare Rosaura. Tra lo sbigottimento generale Rosaura, Colombina, Florindo e Brighella tornano a cercare il modo d’impedire la firma. Alla fine è Brighella a trovare l’espediente: egli conosce una certa polverina per la quale… il contratto non si firmerà. Entra Pantalone a sollecitare in casa i preparativi per l’accoglimento dell’ospite. Tartaglia è mandato sulla piazza per ricevere il Capitano che, dopo poco, fa il suo ingresso trionfale in casa de’ Bisognosi, seguito dal suo servitore Arlecchino, recante i bagagli con i documenti del padrone.
Il secondo atto, primo quadro, s’ambienta in un salotto di casa de’ Bisognosi. Florindo e Rosaura, l’uno nelle braccia dell’altra, sognano il loro amore. Sono risvegliati da Colombina, che avverte i due innamorati del giungere di qualcuno. Florindo e Rosaura escono ed in scena entra Arlecchino. Scorgendo Colombina sola, egli fiuta l’avventuretta e con pompa esagerata prima si profonde in un altisonante saluto, poi comunica di essere ambasciatore d’un messaggio amoroso del Capitano a Rosaura e, quindi, serra la fante di una corte non priva di argomenti. Colombina ne è colpita e quasi cede, quando Brighella, che ha ascoltato non visto l’ultima parte della dichiarazione di Arlecchino, caccia il servo del Capitano con un colpo di scopa. È il momento della polverina, Brighella richiama i due innamorati e ne svela l’effetto. Versata nel vino della festa per il contratto di nozze di Rosaura con il Capitano, la polverina causerà una gran confusione, facendo uscire momentaneamente di senno tutti gli invitati. In quelle condizioni, di certo, il contratto non si firmerà.
Secondo quadro. Grande sala in casa de’ Bisognosi. Tartaglia indica ai servitori dove posare il barile contenente il vino per la festa. In esso, Brighella, poco dopo, versa non visto la polverina. Pantalone, trafelatissimo, comanda ai famigli di accendere tutti i doppieri perché la festa inizi, quindi tenta di persuadere la figlia con un ultimo sermone. Entrano le Maschere rendendo omaggio a Rosaura che assiste abbigliata con grande eleganza, e tutte assieme, inneggiano a lei, elevandola al rango della Poesia. Anche Arlecchino unisce il suo ai complimenti delle Maschere, seguito rozzamente dal Capitano ed hanno inizio le danze. A guidare la pavana è Florindo che, durante le evoluzioni si avvicina a Rosaura per sussurrarle ancora una volta delicate parole d’amore. E dopo la pavana, si scatena una folleggiante furlana, guidata da Brighella e Colombina. Si beve e si danza; Il Dottor Graziano prepara le carte per il contratto, ma si scatena la confusione causata dalla polverina di Brighella. Tutte le Maschere si mettono a dire i loro nomi ed a vagare per il salone senza senso. Su Tartaglia l’effetto della polverina è sorprendente, ed egli snoda un velocissimo scilinguagnolo, libero da ogni impedimento, fin quando il Capitano, credendosi burlato, snuda la durlindana, mettendo tutti in fuga. Il Dottore, però, uscendo con gli altri, porta con sé le carte che Arlecchino ed il Capitano avevano tolto dalla valigia. Il militare rimane solo nella casa di Pantalone, in compagnia del suo servitore.
Il terzo atto si ambienta in una strada dietro la casa di Pantalone. È calata la notte, Pantalone, Florindo e Brighella vagano ancora intontiti. Il Vecchio riconosce la propria casa e tenta di risvegliare la figlia, credendola addormentata nelle sue stanze, ma invano. Brighella suggerisce all’uopo l’intervento di Florindo che attacca un’appassionata serenata amorosa. Dalla finestra s’intravedono due figure, e credendo che si tratti di Rosaura in compagnia d’un uomo, Pantalone fugge e Florindo sviene tra le braccia di Brighella. Ma sviene per errore, poiché Rosaura, che si era rifugiata n casa del Dottore, entra in scena accompagnata da Colombina. Florindo si rianima e le due coppie cercano di por fine all’imbroglio. Florindo pensa di sfidare a duello il Capitano, Rosaura di muoverlo a compassione con le lagrime, Colombina di sedurre Arlecchino, mentre Brighella brontola contro la situazione in cui s’è cacciato. La scena rimane vuota, ed a riempirla entrano il Capitano ed Arlecchino. Questi vorrebbe rubare l’argenteria di casa de’Bisognosi e scappare, ma il militare è di diverso avviso e per trarre il maggior vantaggio personale dalla ingarbugliata situazione intona una roboante bravata. Rientrano Rosaura e Colombina per attuare il loro piano. La servetta sembra riuscire nell’intento, promettendosi ad Arlecchino, se il Capitano rinuncerà a Rosaura. Arlecchino si precipita in casa per prendere la valigia che contiene i documenti compromettenti. È sicuro, con quelle carte in mano, di ridurre al silenzio il suo padrone. Ma le carte e la valigia sono gìà in mano del Dottor Graziano, che irrompe accompagnato da Brighella travestito da gendarme e denunciano a tutte le Maschere il Capitano come truffatore già maritato. Al cospetto generale Brighella domanda a Pantalone se vorrebbe dar la figlia ad un simile impostore, Florindo si fa avanti e chiede la mano di Rosaura. Pantalone acconsente in cambio della… nascita di un bel Pantaloncino, ovvero un nipote. L’opera si conclude con un inno alla Maschera italiana.