IL 2019 E LE CELEBRAZIONI LEONARDIANE / 2. Dipinti, disegni, sculture raccontano Verrocchio e il suo tempo. Cosa c’è da vedere nelle 11 sezioni della mostra allestita fra Palazzo Strozzi e il Bargello
- Apre a Firenze, sabato 9 marzo 2019, la grande mostra “Verrocchio. Il maestro di Leonardo”, uno dei principali eventi dell’anno in cui cade cinquecentenario leonardiano. Ecco una introduzione ragionata alla mostra – allestita fino al 14 luglio 2019 a Palazzo Strozzi e nella sezione speciale presso il Museo del Bargello – dai testi del catalogo di Francesco Caglioti e Andrea De Marchi (il volume è edito da Marsilio).
SEZIONE 1
VERROCCHIO TRA DESIDERIO E LEONARDO: I RITRATTI FEMMINILI
Cresciuto nell’ambiente elettissimo delle botteghe di oreficeria, che gli impresse per sempre il senso della perfezione tecnica, sui vent’anni Verrocchio avvistò nelle forme monumentali del marmo e del bronzo l’asse portante della sua vocazione artistica universale. La svolta maturò nella bottega di Donatello, che era allora una sola cosa con i cantieri medicei della basilica di San Lorenzo e del palazzo di via Larga: fu però Desiderio da Settignano, poco più adulto di Andrea, ma astro già riconosciuto di quel mondo, a insegnargli come nessun altro il mestiere dell’intaglio marmoreo. Si aprì così per lui la strada verso un trattamento fanatico della materia, quasi fino all’estenuazione, e senza gerarchie d’impegno e di qualità tra le parti di figura e quelle di ornato. Tanta sottigliezza poteva spingersi a catturare anche i più fuggevoli moti del corpo e dell’anima: e il ritratto femminile in busto, un genere da poco rifondato, divenne per entrambi gli scultori il più arduo e fecondo banco di prova della loro attitudine, trasmessa poi a Leonardo pittore. Dopo la morte precoce di Desiderio (1464), Verrocchio ne rimase sì l’erede artistico principale, ma, infine, non più un seguace ossequioso. La differenza tra laGentildonna Frick di New York e la Dama dal mazzolino esprime quella tra il discepolo che egli fu e il caposcuola indiscusso in cui si trasformò: maestro di molti, e non solo di Leonardo.
SEZIONE 2
VERROCCHIO TRA DESIDERIO E LEONARDO: GLI EROI ANTICHI E IL DAVID
Lo scambio di consegne tra Desiderio e Verrocchio s’inverò anche nella produzione di effigi marmoree di eroi ed eroine dell’antichità, a mezzo busto e di profilo entro campi rettangolari o più raramente ovali. Desiderio aveva dato vita a un genere che, senza riscontri diretti nell’arte classica (generosa, tuttavia, dei modelli glittici e numismatici necessari), appagava come pochi le smanie antiquarie di committenti e umanisti. Questa fortuna collezionistica sollecitò la diffusione di repliche in altri formati (tondi) e in altre materie (terracotte invetriate): e talvolta le copie sono oggi le sole testimoni di alcuni originali perduti. I profili del primo Rinascimento ebbero corso ancora nel Sei e nel Settecento: ma, fraintesi per antichi, furono spesso scontornati, per evocare più vistosamente gli ovali delle gemme e dei cammei, o i circoli delle monete. Sviluppando la traccia di Desiderio, Verrocchio aveva messo a punto coppie di celebri condottieri affrontati, la cui accesa rivalità bellica era insieme contrasto generazionale: il giovane Alessandro, il maturo Dario. Questo tema fu poi carissimo a Leonardo, capace di rielaborarlo senza sosta nei suoi disegni, e di stravolgere il tipo virile maturo fino a trarne le basi della moderna caricatura. Prima che l’allievo liberasse le sue supreme fantasie, Verrocchio aveva dato corpo al tipo giovanile del guerriero nella statua del David, suo capolavoro bronzeo d’esordio: un’opera destinata presto a imporsi anch’essa tra scolari, seguaci e colleghi, come modello di posa elegante non meno che d’innocenza adolescenziale.
SEZIONE 3
VERROCCHIO E I SUOI: LE MADONNE, TRA SCULTURA E PITTURA
Verrocchio giunse tardi alla pittura. Verso il 1470, però, il suo carisma si affermò anche in questo campo. Mentre lavorava all’Incredulità di san Tommaso per Orsanmichele e al Battesimo di Cristo per San Salvi, egli mise a punto alcune composizioni della Madonna col Bambino dove l’iniziale vitalismo si rasserena in un senso di ariosa e freschissima signorilità. Fra esse, la Madonna di Volterra è un capolavoro del secolo. La pittura si fa limpida, esalta la trasparenza dei gioielli, accarezza le carni, intaglia i panneggi con la luce, si spalanca verso orizzonti lontani. La Vergine adora silenziosa il
Bambino o lo tiene ritto sul davanzale con le mani nervose, mentre lui si anima ritmicamente. Fu un momento magico, tutti vollero imitare queste sottili capacità illusive e questa nuova eleganza, dove la naturalezza apparente si sposava con un artificio studiato. Fu così che la bottega verrocchiesca divenne la fucina della nuova pittura e il maestro attirò a sé tutti i migliori ingegni, Perugino e Leonardo, «par d’etate e par d’amori» (così Giovanni Santi, padre di Raffaello), Ghirlandaio e tanti altri. In scultura il primo a essere attratto nella sua orbita e a divenirne un’eco fedele fu il coetaneo Francesco di Simone Ferrucci.
SEZIONE 4
VERROCCHIO FRESCANTE
Un affresco in San Domenico a Pistoia prova l’eccellenza raggiunta da Verrocchio anche in questa tecnica. È il frammento di una composizione molto più vasta: la Madonna col Bambino doveva essere circondata da quattro santi disposti a esedra; rimangono una santa martire e un san Girolamo penitente, che in maniera teatrale sembra uscire dal quadro e invadere il nostro spazio, sulla mensa d’altare illusoria. Una grandiosa trabeazione su colonne suggerisce la cornice di una pala quadra all’antica, ma è al contempo l’architettura che ospita questo tableau vivant, spalancata al fondo contro il cielo, battuta da una luce calcinata, come in Domenico Veneziano. I panneggi si frangono in sfaccettature luminose, i corpi sono irrequieti, san Girolamo incarna nell’anatomia solcata di rughe e percorsa di vene turgide una tensione tutta interiore, prefigurando la resa fisica dei moti dell’anima da parte di Leonardo, in quegli anni garzone di bottega.
SEZIONE 5
LA SCUOLA DI VERROCCHIO PITTORE, TRA GHIRLANDAIO E PERUGINO
Grazie a Pietro Vannucci, il Perugino, il linguaggio di Verrocchio pittore fu esportato in Umbria, e di lì a Roma e in Abruzzo. Le Storie di san Bernardino del 1473, un’impresa capitanata da Perugino, cui collaborò anche il giovanissimo Bernardino di Betto, il Pintoricchio, furono la palestra di un nuovo linguaggio. Un palcoscenico terso e luminosissimo, incastonato di gioielli e sbalzi orafi, è calcato da un’umanità tutta elegantemente dinoccolata. Il clima di emulazione stimolato dall’esempio di Verrocchio fece dei due pittori umbri i protagonisti di un linguaggio proto-classico che da Roma e da Firenze conquistò l’Italia. Un grande futuro ebbe pure Domenico del Ghirlandaio, che frequentò Verrocchio verso il 1470 ed elaborò una nuova dolcezza, ora confrontandosi con l’antico, come nellaMadonna Ruskin, ora con le finezze ottiche dei fiamminghi, come nella Madonna del Louvre. Alternativo, invece, fu il verrocchismo di Bartolomeo della Gatta, monaco, figlio dell’orafo Antonio Dei, che nel 1457 aveva avuto a bottega Verrocchio ventenne: espressività accalorata e finiture preziose convivono nell’Assunta di Cortona, capolavoro di un artista solitario che si ritirò in terra aretina.
SEZIONE 6
VERROCCHIO A ROMA, VERROCCHIO E ROMA
Secondo Vasari, Roma giocò un ruolo cruciale nell’arte e nella carriera di Verrocchio, il quale vi visse sotto papa Sisto IV (1471-1484), decidendo proprio qui di lasciare l’oreficeria per la scultura, sulle orme degli antichi. Questo racconto ha un valore topico (la forza del retaggio classico), ma la sua attendibilità circostanziale viene ormai rinnegata dagli studi. Il transito di Andrea alle arti monumentali ebbe infatti luogo assai prima del 1471, ed egli non poté mai risiedere nell’Urbe con agio. Vero è, tuttavia, che per lui, come per ogni scultore dei suoi giorni, la statuaria antica non fu mai lettera morta, anche se egli, intendendone a fondo i processi naturalistici e nel contempo selettivi, seppe perciò guardarsi da un’imitazione superficiale. Roma non arrivò dunque a irretire Verrocchio, ma lui fu in grado di lasciarvi un segno forte per mezzo di allievi e seguaci. Il momento propizio per tale conquista fu nella Cappella Sistina (1481-1482). Mentre alcuni grandi frescanti cresciuti sui suoi esempi, come Perugino e Ghirlandaio, ne ricoprivano di storie le pareti, il caposcuola stesso, a detta di Vasari, v’innalzava sull’altare alcune statue di Apostoli in argento. Negli stessi giorni, Ghirlandaio e Francesco di Simone Ferrucci, fattosi ormai un alter ego di Verrocchio nel marmo, allestivano con Mino da Fiesole la Cappella Tornabuoni alla Minerva: un pezzo, oggi perduto, di Firenze sul Tevere. Nei vent’anni successivi incontriamo uno scultore verrocchiesco fin qui insospettato (forse Michele Marini da Fiesole), che operò nel marmo, nella terracotta e nel bronzo, quale emissario del suo maestro nella città dei papi.
SEZIONE 7
IL PUTTO COL DELFINO E LA SCULTURA PADRONA DELLO SPAZIO
Il dialogo tra Verrocchio e i modelli classici si tradusse soprattutto nella creazione di sculture da esterni, in marmo e in bronzo. Sulla scia di Donatello, e con l’incoraggiamento dei Medici, Andrea contribuì a fissare in forme definitive il più canonico tipo di fontana monumentale all’antica (la cui fortuna persiste quasi ai giorni nostri): un insieme fantasioso di vasche concentriche impilate l’una sull’altra, come in un grande candelabro liturgico; e di veri e propri candelabri egli fu un virtuoso anche nel metallo (quello per la Signoria fiorentina rimonta al 1468-1469). L’esempio mediceo venne esportato da Verrocchio alla corte reale ungherese di Buda, dove i moderni scavi archeologici hanno recuperato fino ad anni recenti tre frammenti di una fontana scolpita dalla sua bottega nel 1485 e fregiata di un distico di Poliziano. In cima a questi complessi svettavano ingegnose figure idrauliche come il celebre Putto col delfino di Careggi (trasferito nel Cinquecento a Palazzo Vecchio): in esse la naturalezza della scultura antica di soggetto infantile riesplodeva con una vivacità nuova, capace d’invadere la vita dell’osservatore come non s’era mai visto. C’era qui il sapiente governo dello spazio da parte di uno scultore monumentale che, come Donatello, fu anche architetto, e che avrebbe superato il suo stesso maestro nel dramma evangelico dell’Incredulità di san Tommaso e in quello bellico del Bartolomeo Colleoni a Venezia. Quest’ultimo episodio, grande assente della mostra, può essere evocato solo attraverso sparsi fogli che ne documentano il travaglio tecnico, o le lodi poetiche dei contemporanei.
SEZIONE 8
VERROCCHIO PER PISTOIA: IL CENOTAFIO FORTEGUERRI, LA MADONNA DI PIAZZA E LORENZO DI CREDI
Nella seconda metà degli anni Settanta l’arte di Verrocchio si fece ancora più magniloquente. Le figure si dispongono in studiate simmetrie, quasi lievitano in panneggi rigonfi e smussati. Prima di altri egli preparò la misura e la dolcezza proto-classica, in cui eccelsero Perugino e poi Raffaello. Queste nuove ricerche connotarono due grandi imprese per Pistoia, la Madonna di Piazza, per le cappelle di tale nome, eretta presso il Duomo dal vescovo Donato de’ Medici, e il cenotafio del cardinal Niccolò Forteguerri, per il Duomo stesso. Queste commissioni, ottenute fra il 1474 e il 1475, si trascinarono nel tempo. La pala fu dipinta solo nel 1485-1486 dal fedele allievo Lorenzo di Credi, cui Verrocchio aveva lasciato la bottega essendosi trasferito a Venezia per lavorare al monumento equestre di Bartolomeo Colleoni, ma fece scuola la composizione sapiente, ideata dal maestro, con le figure ben piazzate in una loggia traforata su un vasto paesaggio primaverile e avvolte da una luce limpida, emula dei fiamminghi. L’esecuzione del cenotafio marmoreo fu demandata a Francesco di Simone Ferrucci, ma nei bozzetti in terracotta se ne apprezza l’invenzione spettacolare da parte del capobottega, fra terra e cielo, sommossa da un fremito continuo.
SEZIONE 9
DA VERROCCHIO A LEONARDO: IL “PIEGAR DE’ PANNI” S’IMMERGE NELLA LUCE
Tutto per Verrocchio è studiato. Dietro a ogni opera c’è un lavorio infinito, l’esercizio assiduo del disegno, come già in Fra Filippo Lippi, il primo a chiaroscurare brani isolati di panneggio. Nel disegno lo studio del vero si ricompone in misurate geometrie, e pose atteggiate fremono di vita, come nelle teste ideali – ora pensose, ora animose – incorniciate da riccioli vaporosi o da crocchie complicate: quelle «teste di femina con bell’arie et acconciature di capegli, quali per la sua bellezza Lionardo da Vinci sempre imitò» (Giorgio Vasari). Maestro e allievo si sfidarono nel catturare su tele di lino l’effetto della luce sui panni, simulato con stoffe bagnate plasmate su manichini. Le superfici monocrome si animano di continuo nel gioco trascorrente della luce, nei lini di Verrocchio con un intarsio più cristallino, in quelli di Leonardo con lustri setosi e trapassi più sfumati. Le geometrie del maestro si sciolgono allora nel sorriso sfuggente della Madonna e nella spontanea irruzione della vita nel Bambino della terracotta del Victoria and Albert Museum di Londra, isolato sperimento del giovane Leonardo come plasticatore.
SEZIONE 10 presso il Museo Nazionale del Bargello:
APICE: L’INCREDULITÀ DI TOMMASO E UN NUOVO VOLTO DI CRISTO
Il 21 giugno 1483 fu inaugurata nella nicchia più importante di Orsanmichele – quella di Donatello che aveva ospitato in origine il San Ludovico di Tolosa – l’Incredulità di san Tommaso (cominciata sin dal 1467): e tutto il mondo vide – nelle parole del cronista Luca Landucci – «la più bella testa del Salvatore ch’ancora si sia fatta». La nuova immagine del Cristo che Verrocchio riuscì a formare nel bronzo – radiosa di calma e di misericordia entro la cornice perfettissima dei lunghi boccoli e della barba ben spartiti – era pronta a far breccia: Firenze, la Toscana e l’Italia medio-alta furono inondate per quasi mezzo secolo di busti in terracotta, in stucco e in gesso plasmati da allievi, seguaci e rivali del maestro; e tra i primi e i secondi ebbero straordinaria fortuna, grazie a tale pratica, Pietro Torrigiani e Agnolo di Polo. Già un decennio prima del 1483, nei lunghi anni di gestazione dell’Incredulità, Verrocchio stesso aveva anticipato la propria visione del Redentore in un busto fittile: tre esemplari a confronto, fra i sei noti al momento, documentano in mostra quest’opera e il suo gioco sottile di varianti rispetto al gruppo metallico di Orsanmichele.
SEZIONE 11 presso il Museo Nazionale del Bargello VERROCCHIO E I SUOI CONCORRENTI: I CROCIFISSI
La bellezza sontuosa del Cristo uscita dalle mani di Verrocchio, supremo plasticatore, non era facile da tradurre nel legno dei Crocifissi. Eppure Giorgio Vasari (1568) ricorda che il maestro volle cimentarsi anche in questo genere di lavori. Sintomaticamente, gli studi moderni sono riusciti a scovare un solo Crocifisso in cui si possa ammettere un ruolo almeno parziale di Andrea, mentre negli ultimi decenni la riscoperta dei Crocifissi intagliati dai suoi maggiori rivali si è svolta a ritmi incalzanti. A contendersi tale campo nella Firenze dell’ultimo quarto del Quattrocento furono soprattutto le due più affermate botteghe familiari di legnaioli: quella dei fratelli Giuliano e Antonio il Vecchio da Sangallo, e quella dei fratelli Giuliano e Benedetto da Maiano, quest’ultimi affiancati dalla schiatta consanguinea dei Del Tasso. Emerse tra tutti, per quantità e qualità di creazioni, Benedetto da Maiano. Il suo tipo superiore del Nazareno, composto e pacificato nelle membra, soave nel volto, risalta accanto a quello diversamente temprato ed eroico dei Sangallo, quasi architettura in forma d’uomo. Quantunque Benedetto fosse estraneo alla bottega di Verrocchio, egli finì per assorbirne il modello con intelligenza sicura, preparando in conclusione la strada a Michelangelo. L’insegnamento di Verrocchio era però destinato ad agire più chiaramente nelle mani di abili seguaci come Andrea Ferrucci, capaci di perpetuarlo entro la Maniera Moderna cinquecentesca.