Mascagni e lo stoccafisso alla livornese

di Fulvio Venturi

Mascagni, come lascia intuire il carattere sanguigno, era un forte mangiatore. Ma un mangiatore strano.
Componendo di notte si alzava tardi e le ore dei pasti erano per lui assai sfalsate rispetto al comune giro delle lancette. Difficilmente andava a tavola prima delle tre del pomeriggio e delle dieci di sera. Naturalmente finiva di mangiare tardi, verso le cinque se andava a tavola alle tre, o verso la mezzanotte. Poi o erano interminabili partite di scopone, o lunghe ore di lavoro al pianoforte.
Cosa insolita per un livornese Mascagni non amava il pesce, che gli lasciava “più fame di prima”, adorava le uova che consumava in gran numero e in tutti i modi, da crude “all’ostrica” a strapazzate, la pasta, le bistecche alla fiorentina che a suo dire gli davano una grande energia, i formaggi a pasta molle e negligeva i dolci che a suo avviso “guastavano i denti e lo stomaco”. Nondimeno, anche se beveva poco, pasteggiava con vermouth, sia pur “allungato” da seltz o acqua di Evian. In età matura pagò purtroppo l’abnorme frequentazione delle carni rosse con frequenti e disagevoli attacchi di gotta.

Da buon figlio di Labrone era tuttavia ghiotto di stoccafisso con le patate, e non disdegnava le triglie alla livornese. Inoltre amava la convivialità e di frequente che si trovava a tavola con personaggi del mondo della musica e del teatro, colleghi, cantanti. Attorno a codesti pranzi ufficiali si è anche verificata una notevole fiorita di aneddoti, alcuni dei quali accreditati da Mascagni stesso. Eccone uno.

Nel febbraio 1893 Mascagni partecipò ad un pranzo di gala indetto dalla Famiglia artistica Milanese in onore di Giuseppe Verdi e Giacomo Puccini dopo la prima rappresentazione di Falstaff e Manon Lescaut. Mascagni e Puccini, che erano ancora molto amici, trovarono il modo di dare spettacolo. Davanti ad una platea costituita dallo stesso Verdi e dalla crème della cultura italiana e della Scapigliatura lombarda, i due s’inventarono un “siparietto” di cui Mascagni informò per lettera la moglie: “Fui obbligato a cantare e suonare: e feci un fanatismo. In una frase acutissima levai un effetto così bello che tutti mi fecero un’ovazione. Sembravo una donna; e siccome ho la faccia senza peli credetti bene di fare osservare che ho già tre figli, acciocché non si facessero supposizioni circa il mio sesso”.

Per tornare direttamente alle abitudini alimentari del compositore livornese, era tuttavia durante i pranzi privati a partecipazione ristretta il momento in cui si poteva godere maggiormente della sua persona. Oltre ad essere un buongustaio Mascagni era un amabile conversatore e in quelle occasioni parlava in continuazione di vari argomenti musicali, o narrava molti episodi della sua vita. Impressioni e ricordi che si alternavano trasparenti e colorati come i cristalli di un caleidoscopio.

Specie a Livorno, dove Mascagni era vezzeggiato, le portate di quelle cene si alternavano con piatti provenienti dalle cucine di amici ed ammiratori. Mascagni con l’aiuto di Alfredo, il suo cameriere personale, assaggiava tutto, piluccando finemente ora uno scagliozzino farcito della signora Tale, ora una ghiotta fricassea di carciofi della contessa Degli Ignoti, oppure il rifreddo di cacciagione con un’insalatina di ovuli ancora chiusi della cuoca dei signori Castelfiorito.Cronista preciso ed affezionato di una di queste agapi mascagnane fu Enrico Minetti, primo violino dell’orchestra scaligera, ospite per una sera del compositore all’Hotel Corallo nell’agosto 1935 durante le prove per la produzione livornese di Nerone.

A MODO MIO: LA RICETTA DELLO STOCCAFISSO ALLA LIVORNESEimage

Ogni famiglia ha la sua ricetta, ma secondo un metodo consolidato, per quella dello stoccafisso alla livornese occorrono – lo conferma Giovanni Martelli della Cantinetta, locale nel quartiere Pontino dove si gustano piatti della tradizione labronica –  un bello stoccafisso ammollato, cipolle bianche, un tocco di peperoncino, vino bianco,  passata di pomodoro, patate, buccia di limone, olio evo, sale e pepe q.b.

Allo stoccafisso vanno tolte le lische e la polpa deve essere frammentata in  piccoli pezzi. In un tegame largo versare l’olio, mettere le cipolle bianche tagliate a velo, la scorza del limone, il peperoncino, il vino bianco: far appassire il tutto, aggiungendo poi un po’ d’acqua e le patate a tocchetti. Salare e pepare e far cuocere per cinque-sei minuti, aggiungere la passata di pomodoro e quando spicca il bollore (dopo più o meno cinque minuti) aggiungere lo stoccafisso strizzato. Quindi portare a cottura il tutto. Per quanto tempo? Da un’ora e un’ora e mezza. Il piatto va gustato caldo. (elisabetta arrighi)