FESTIVAL PUCCINI 2023. La musica e il mistero di “Turandot” secondo Robert Trevino, tra un Principe Ignoto sicuro e squillante (Amadi Lagha) e le incertezze della Principessa di Ghiaccio (Sandea Janusaite). La recensione di Fulvio Venturi
di FULVIO VENTURI
Non so come, ma durante la serata, per uno di quei processi creativi e indeterminati, si è presentato alla mia mente un dipinto di Alma Tadema, Le rose di Eliogabalo (foto sotto a sinistra). Una rappresentazione della morte per soffocamento, profumata e inesorabile.
Pensiero senz’altro indotto dalla direzione di Robert Trevino che soffonde la marea pucciniana, le rose in questo caso, di raffinate ed esangui evidenze orchestrali per le quali il timbro è protagonista più del volume, il colore più della capacità narrativa e istruisce un lento, ineluttabile, canto di morte. Saranno felici gli amanti ai quali la morte dona l’amore? Mai. Si potrà trovare una melodia insolita che questo amore nato dalla morte accompagni? Non in questa vita.
Interrogativi che sono la quintessenza medesima di Turandot, del suo mistero e della sua incompiutezza. E che neppure il finale compiuto da Luciano Berio, che tenta la costruzione di quella melodia insolita che Puccini stava cercando quando sopraggiunse la morte, risolve.
La regia di Daniele Abbado (al Festival Puccini di Torre del Lago, ndr), con le scene e il disegno luci di Angelo Linzalata, i costumi di Giovanna Buzzi e le coreografie di Simona Bucci, rappresenta la solita Pechino favolistica, fra luci al neon e tracce di cabaret. Il principe ignoto è un monolite determinato e bianco che piantato in mezzo alla scena va dritto alla meta. Attorno alla sua determinazione ruotano gli altri personaggi, né manca una memoria nel suicidio per avvelenamento (e non per pugnale) di Liù, della povera Doria Manfredi che dal 1909 riposa nel cimitero di Torre del Lago dopo aver ingerito un quantitativo di pasticche di sublimato di potassio.
Triste vicenda tuttora dibattuta e mai acclarata.
Cast non indimenticabile con Amadi Lagha, un Principe Ignoto sicuro e squillante, ma anche piuttosto avulso dal contesto circostante, Sandra Janusaite, una Turandot non priva d’incertezze (specie nella sortita) e asperità, Emanuela Sgarlata, una Liù modesta. Accettabile il trio delle maschere con il Pong di Marco Miglietta in bella evidenza (Simone del Savio, Ping e Andrea Giovannini, Pang), rivedibile il Timur di Antonio di Matteo e buono il Mandarino di Francesco Auriemma. Marco Montagna (Altoum e Principe di Persia) nonché Maria Cristina Napoli (Prima ancella) e Sara Guidi (Seconda ancella) hanno completato la distribuzione di personaggi e interpreti. Molto bene il coro delle voci bianche diretto da Chiara Mariani e un po’ sparuto il coro del Festival Puccini, diretto da Roberto Ardigò. Bene l’orchestra capace di evidenziare le profumate raffinatezze cui ho fatto cenno in premessa.
Pubblico molto numeroso.