100 anni fa la rivoluzione russa. Ejzenštejn e le immagini agli Uffizi. Tanti eventi tra Firenze e Bologna mentre “La corazzata Potëmkin” torna nei cinema
Grande fermento, in questo periodo, per le Gallerie degli Uffizi, dove le mostre si succedono con grande entusiasmo. Adesso è la volta di “Ejzenštejn. La rivoluzione delle immagini”, nelle Sale di Levante, Gallerie delle Statue e delle Pitture degli Uffizi. La mostra sarà aperta da martedì 7 novembre 2017 fino al 7 gennaio 2018. Con questo appuntamento gli Uffizi ricordano i cento anni dalla rivoluzione bolscevica in Russia attraverso le opere grafiche di uno dei più grandi rivoluzionari della cultura del Novecento.
La multiforme attività del regista, teorico e strenuo disegnatore Sergej M. Ejzenštejn (Riga, 1898 – Mosca, 1948) fu per il mondo delle immagini ciò che la sollevazione del 1917 fu per gli assetti sociali, politici ed economici dell’impero russo (e non solo), con in più la capacità di durare nel tempo, ispirando generazioni di artisti.
L’esposizione presenta i molteplici aspetti del talento di Ejzenštejn in un percorso che unisce l’attività del disegnatore a quella del cineasta, trovando uno speciale filo conduttore nel riferimento all’arte italiana del tardo Medioevo e del Rinascimento. La selezione dei settantadue disegni, tutti provenienti dall’Archivio Statale di Letteratura e Arte di Mosca, è avvenuta seguendo rigorosamente due principi. Il primo è l’autonomia di queste prove grafiche, comprese per la quasi totalità tra i primi anni Trenta e il 1948 e considerate dallo stesso regista una sorta di trascrizione automatica dei pensieri, capace di fissare sulla carta un flusso costante di idee che dialoga con i film e li ispira, senza però subordinarsi a essi. Il secondo discende dal primo e riguarda lo stile dei disegni, contrassegnato da una linearità sintetica che rimanda al Tre e al Quattrocento e al tempo stesso appartiene a pieno titolo al clima artistico del periodo, tra echi surrealisti e deformazioni neo espressioniste.
Grazie al disegno di puro contorno, la mostra è anche un osservatorio privilegiato sul concetto ejzenštejniano di montaggio, in primo luogo per l’attitudine della figurazione a smembrarsi e ricomporsi secondo “montaggi” che aprono a significati sempre nuovi, ma soprattutto per il valore di una grafica che va apprezzata nel suo dispiegarsi in sequenze, secondo strisce da definirsi davvero “cinematiche”. Esse infatti sono disposte in serie ravvicinate come ideali fotogrammi e dialogano con i film del grande regista, i quali scorrono sulle ampie pareti di alcune stanze delle Sale di Levante della Galleria delle Statue e delle Pitture (a seguire una gallery di fotogrammi da film e di disegni).
«La tecnica del disegno basato sul puro contorno – scrive Eike D. Schmidt, direttore delle Gallerie degli Uffizi, nel suo testo in catalogo – naturalmente richiama il periodo di massima fioritura di quella formula grafica, ovvero il periodo neoclassico, che coincide con quello della corrente filosofica dell’idealismo tedesco e quindi anche hegeliana, che fu adattato da Ejzenštejn dopo l’arrivo in Messico. Infatti, uno dei fogli delle Parche allude agli stilemi dei bassorilievi precolombiani. Altri disegni richiamano i nudi femminili di Cézanne, in particolare le bagnanti sulle rive nei suoi paesaggi. È tuttavia lampante e perfettamente riconoscibile il modello estetico principale per le Parche che ballano e si distendono in maniera espressiva, ovvero La Danse di Henri Matisse (1910), che oggi si trova all’Hermitage di San Pietroburgo, ma che Ejzenštejn certamente ammirò e studiò nel Museo statale dell’arte moderna occidentale a Mosca, dove l’opera era stata trasportata dalla casa privata di Sergei Šchukin dopo la Grande Rivoluzione».
Anche il materiale cinematografico di Ejzenštejn è stato allestito in mostra in funzione di un suggestivo rimando all’arte del passato e alle idee sul montaggio. Da un lato, infatti, le proiezioni mescolano dettagli e scene di Sciopero, La corazzata Potëmkin, Aleksandr Nevskij e degli altri capolavori ejzenštejniani ad alcuni particolari tratti da l’Adorazione dei Magi e da l’Ultima Cena di Leonardo da Vinci e da La Battaglia di San Romano di Paolo Uccello, svelando significative assonanze. Dall’altro, i film costruiranno un tragitto per raccontare visivamente il montaggio, in un “crescendo” che dalle singole e veloci inquadrature presenti nella prima sala conduce ai frame della seconda, fino alle sequenze compiute che animano la terza e la quarta. La quinta sala è una sorta di approdo della carriera e della vita del cineasta, con le ultime meditazioni in grafica che si abbinano per contrasto alle immagini ironiche e quotidiane dell’uomo Ejzenštejn, colte da una serie di video d’archivio scelti e assemblati per l’occasione.
Questa rivoluzione delle immagini, che introduce per la prima volta agli Uffizi la settima arte (come veniva definito il cinema da Ejzenštejn), ha dunque un volto antico e uno moderno uniti in continua dialettica. E il Rinascimento, oltre a essere uno straordinario serbatoio di immagini, diventa anche il sinonimo per eccellenza di quella rifioritura culturale a cui ogni rivoluzione, nel tentativo di riuscire permanente, dovrebbe ambire.
Nel pieno clima di rinascenza e rivoluzione inaugurato dalla mostra degli Uffizi, Firenze e Bologna concorrono alla creazione di una Settimana della Rivoluzione (7-10 novembre 2017), un ciclo di eventi che si apre con la mostra fiorentina, prosegue con il convegno internazionale Avanguardia e rivoluzione. Il cinema di Sergej M. Ejzenštejn, organizzato dalla Cineteca di Bologna in collaborazione con le Gallerie degli Uffizi (Bologna, 8 novembre), e termina con un secondo convegno internazionale promosso dal Kunsthistorisches Institut in Florenz – Max-Planck-Institut: The future is our only goal. Revolutions of Time, Space and Image. Russia 1917 – 1937 (Firenze, 9-10 novembre).
Chi ha conosciuto Sergej Ejzenštejn racconta che si rammaricava spesso di non aver mai potuto mettere piede agli Uffizi: questa mostra sarà l’occasione di riparare a un piccolo torto della Storia.
La mostra a cura, come il catalogo edito da Giunti, di Marzia Faietti, Pierluca Nardoni, Eike D. Schmidt, è promossa dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo con le Gallerie degli Uffizi, la Fondazione Cineteca di Bologna, l’Archivio Statale di Letteratura e Arte di Mosca (RGALI), il Museo Statale delle Belle Arti “A.S. Puškin” e Firenze Musei.
LA CORAZZATA POTËMKIN nel 100° anniversario della Rivoluzione russa
Torna in questi giorni di novembre 2017 nelle sale nelle sale italiane e in DVD il famoso film “la corazzata Potëmkin (Bronenosec Potëmkin, URSS/1925, 68’) in edizione integrale restaurata con musiche originali di Edmund Meisel. Un “regalo” per gli appassionati non solo della Cineteca di Bologna per il centenario della rivoluzione russa.
La Cineteca felsinea presenta la pellicola nell’ambito del progetto
“Il Cinema Ritrovato”. Al cinema”. Il film è stato restaurato da Deutsche Kinemathek con il sostegno di Bundesarchiv-Filmarchiv, BFI – National Archive e Russian State Archive of Literature and Arts (RGALI), con la musica originale composta da Edmund Meisel.
“Con orgoglio facciamo riprendere il largo a questo film meraviglioso – dice il direttore della Cineteca di Bologna Gian Luca Farinelli – e lo consegniamo a nuove generazioni di spettatori, che lo potranno vedere come Ejzenštejn lo pensò e realizzò in pochi, impetuosi mesi del 1925; nella sua versione originale, restituita dall’accurato restauro tedesco, e con la musica originale di Edmund Meisel. Perché La corazzata Potëmkin, come tutta l’opera di Ejzenštejn, è un film su cui hanno da sempre pesato la percezione svisata (quanti sanno che è un film di soli settanta minuti e di prodigiosa velocità?), le versioni manipolate che hanno circolato negli anni, la fama di oggetto museale o reperto della Rivoluzione sovietica, per arrivare al famoso sberleffo fantozziano, a suo modo geniale ma certamente paralizzante. Un fardello di equivoci che hanno finito per oscurare la prodigiosa energia sperimentale del Potëmkin e del suo autore. Questa visione sarà per tutti una sorpresa assoluta”.
1917-2017: un secolo dopo il mondo riflette sulla Rivoluzione russa, e il mondo della cultura torna sugli irripetibili fermenti artistici che ne hanno segnato il primo profilo. E il cinema, che proprio in quegli anni stava facendo esplodere la sua carica rivoluzionaria, è forse l’alveo artistico nel quale il linguaggio del nuovo pensiero rivoluzionario ha trovato la sua manifestazione più felice, il suo canale più ampio e diretto per parlare al popolo russo.
Titolo dalla forza evocativa impareggiabile, La corazzata Potëmkin è diventato l’emblema del cinema rivoluzionario russo, e della Rivoluzione stessa: anche se di quella Rivoluzione non parla. Ma racconta i germogli della Rivoluzione che verrà, sbocciati nel 1905: La corazzata Potëmkin vedrà la luce vent’anni dopo, segnando il momento d’oro del cinema sovietico, grazie al genio di Sergej Ejzenštejn.
La corazzata Potëmkin tra citazioni, immaginario e interpretazioni storiche
La corazzata Potëmkin è film segnato in Italia da un destino davvero imprevedibile, che lo ha trasformato in qualcosa di diverso da quel che è, pur rispettandone, con un curioso effetto di metamorfosi, la vocazione rivoluzionaria, quella “lotta al dispotismo” – come dissero i deputati socialdemocratici tedeschi quando negli anni Venti in Germania si volle vietarne la distribuzione – che è in fondo quella tentata da Fantozzi e colleghi. Salvo poi… Ma La corazzata Potëmkin va – anche per il pubblico italiano – molto al di là della sua parossistica vicenda fantozziana, capace comunque di regalare al film una notorietà tale da ritrovarlo, ad esempio, citato in un altro film strapopolare, come Vieni avanti cretino (di nuovo di Luciano Salce), nel quale addirittura Lino Banfi stimola la creatività di un redivivo Sergej Ejzenštejn, facendo involontariamente rotolare, ovviamente giù da una scalinata, un’ignara vecchina in carrozzella. È chiaro però che parliamo di un cult a tutte le latitudini: è quasi un remake inquadratura per inquadratura la sequenza della scalinata girata da Brian De Palma negli Intoccabili. E l’elenco potrebbe continuare a lungo.
Lo storico del cinema russo Naum Klejman racconta la nascita del film e le prime reazioni che suscitò: “Nella primavera del 1925 il giovane Sergej Ejzenštejn, che aveva appena esordito alla regia con Sciopero!, si vide affidare la direzione di un film che doveva celebrare il ventesimo anniversario della Rivoluzione russa del 1905. Il film, intitolato Bronenosec Potëmkin, fu girato e montato in quattro mesi. Pur limitandosi formalmente all’episodio del 1905 – la rivolta dei marinai di una nave militare alla fonda nel Mar Nero – il film rifletteva i temi fondamentali della Rivoluzione: la crudeltà del regime autocratico e la tensione sociale verso la libertà. La prima si tenne il 21 dicembre al teatro Bol’šoj, in occasione delle celebrazioni per il giubileo. Nonostante l’accoglienza trionfale, la commissione per la cinematografia decise inizialmente di proiettare il Potëmkin solo nei circoli dei lavoratori, a conclusione di conferenze e riunioni: non si pensava infatti che il pubblico cinematografico sarebbe stato attratto da un film senza star e privo del consueto intreccio amoroso o avventuroso. La leggenda narra che il poeta futurista Vladimir Majakovskij minacciò di picchiare i responsabili con il suo pesante bastone se il film non avesse avuto una distribuzione di massa. I primi giorni di proiezione nelle sale dimostrarono che senza eroi individuali e senza una storia di intrighi il film sapeva competere efficacemente con il maggiore successo commerciale di Hollywood di quell’anno, Robin Hood con Douglas Fairbanks. Nella primavera del 1925 la censura tedesca tentò di impedire l’uscita in sala del Potëmkin temendo che un film sulla Rivoluzione del 1905 in Russia potesse suscitare sentimenti rivoluzionari in Germania con la sua forza emotiva. I deputati socialdemocratici del Reichstag vinsero la causa contro la censura dimostrando che il film non risultava in alcun modo sovversivo. Anzi, esso si fondava non solo sullo slogan democratico lotta al dispotismo e all’ineguaglianza sociale, ma anche sull’appello umanistico a cessare la violenza reciproca. Ciò nonostante il film dovette subire i tagli della censura, e in alcune zone della Germania fu proibita la magnifica colonna sonora appositamente composta da Edmund Meisel. In gran parte dell’Europa, dell’Asia e dell’America meridionale i censori non si mostrarono meno miopi e timorosi dei colleghi tedeschi, tanto che Bronenosec Potëmkin fu a lungo interdetto. Solo dopo la Seconda guerra mondiale tornò a circolare: con colonna sonora nei cinema, muto nelle cineteche e ai festival. All’esposizione di Bruxelles del 1958 figurava in testa alla classifica dei dodici migliori film di tutti i tempi, e da allora è considerato un capolavoro indiscusso d’importanza mondiale”.