
E finalmente “Le Willis” si è ascoltata al Teatro del Giglio di Lucca. Il fascino della prima opera pucciniana e l’approdo a “Le Villi”. La recensione di Fulvio Venturi
di FULVIO VENTURI
E così l’araba fenice pucciniana, Le Willis, l’opera dalla quale molte delle consorelle successive hanno trovato e spunto e genesi, si è finalmente ascoltata a Lucca. L’operazione, che si avvale della firma di Martin Deasy sul recupero e sulla edizione critica della partitura Ricordi, è nata da una proficua collaborazione con il Festival Toscanini 2022 di Parma.
Come abbiamo già scritto annunciando questa produzione, il fascino della prima opera pucciniana risiede nella freschezza e, per lo studioso, nella individuazione delle fonti. Nel libretto scarno di Ferdinando Fontana passano mille stimolanti eco. Oltre la novella di Alphonse Karr dalla quale la vicenda è tratta, si sente tutta la “Scapigliatura“ della quale Fontana fece parte: Cletto Arrighi, Carlo Dossi, Tarchetti, le “Penombre“ di Emilio Praga, Camerana, i due Boito e persino “Il Canto dell‘Odio“ di Guerrini/Stecchetti. In un‘ora scarsa di musica Puccini amplifica quelle eco cogliendo spunti da Ponchielli a “Le rouet d’Omphale“ di Saint-Saëns, dal sinfonismo della “Contemplazione“ di Catalani, che già aveva composto la lugubre “Elda“, altra storia di fanciulle morte per amore in cerca di vendetta, a certi pallidi notturni di Sgambati, dal virtuosismo di Bazzini agli ardori wagneriani, lambendo persino il giovane Mascagni, la cui “preghiera“ della cantata “In Filanda“ (1881) somiglia tanto a questa del primo atto de “Le Willis“.
Dovessimo dire tuttavia che questa versione originale dell’opera prima di Puccini ci apre orizzonti insospettati e che il lavoro di revisione ed ampliamento al quale il musicista lucchese sottopose rapidamente la partitura fu inutile se non addirittura dannoso al risultato finale che portò dalle Willis alle Villi, diremmo esattamente il contrario di quello che pensiamo. Nelle Willis abbiamo notato molti dei motivi d’interesse che la frequentazione delle Villi ci ha sempre suscitato, ma anche una sensazione d’incompiutezza e d’inconsistenza poi scomparsa con la versione definitiva dell’operina.
A tutto ciò ha forse contribuito la lettura sin troppo lucente ed estroversa di Omer Meir Wellber tutta tesa ad esaltare più l’entusiasmo giovanile che l’innegabile cupezza dell’esordiente Puccini, ove la forza di queste Willis risiede più nel sinfonismo che nella teatralità. Delle parti vocali l’unica a non aver subito sostanziali mutazioni è quella di Guglielmo (Gulf qui e non ancora Wulf come sarà nelle Villi), mentre quelle di Anna e soprattutto di Roberto hanno nelle Willis più l’aspetto dell’abbozzo che del carattere definito.
Al riguardo dei solisti di canto ottima è stata la prestazione del baritono Vladimir Stoyanov, degna di attenzione la cospicua vocalità del tenore Kang Wang e più generica, meno matura, dei colleghi è parsa Selene Zanetti (Anna). Con i cantanti deve essere ricordata anche la danzatrice Silvia Layla e l’ensemble delle figuranti impegnate a dar sembiante allo spirito vendicatore delle fanciulle defunte per amore, le Willis appunto. Ottimo il coro Camerata Musicale di Parma diretto dal Maestro Martino Faggiani e non indimenticabile il progetto drammaturgico e la regia di Filippo Ferraresi con elementi scenici di Guido Buganza. Al termine vibranti applausi e replica della “preghiera”. L’esecuzione è stata preceduta, diremmo spettacolo nello spettacolo, da una dottissima introduzione della professoressa Gabriella Biagi Ravenni, presidente del Centro Studi Pucciniani e da un’appassionata perorazione con immancabile paragone Puccini-Mascagni del M.o Jonathan Brandani, direttore artistico del Teatro del Giglio.