FESTIVAL PUCCINI 2019 / 14. Raffinatezza e fraseggio di Angela Gheorghiu, ancora in evidenza il tenore Stefan Pop. Molti applausi per La Bohème a Torre del Lago (nonostante qualche incertezza). La recensione di Fulvio Venturi
di FULVIO VENTURI
Gran pubblico al Festival Puccini per questa rappresentazione della Bohème (3 agosto 2019) con Angela Gheorghiu ad una delle sue rare presenze italiane. La famosa cantante, dopo un primo atto piuttosto frenato, durante il quale ha forse preso confidenza con l’acustica del teatro e del lago, ha volto la sua interpretazione tutta sul lato della raffinatezza e del fraseggio, dispiegando una innegabile varietà di colori e di intenzioni. Dopo un bel terzo quadro, con un intenso “Donde lieta uscì” e squisite frasi nel quartetto e nella chiusa, Angela Gheorghiu ha raggiunto il punto più alto nel finale dove, insieme alla finezza del canto ed alla fragilità del personaggio, è riuscita a comunicare che oltre gli affetti nel momento del trapasso siamo soli, cogliendo anche la straordinaria modernità di Puccini, il quale negli ultimi cinque minuti della Bohème anticipa tutta l’opera del Novecento.
Al fianco di Angela Gheorghiu, dopo il Pinkerton già interpretato sere fa, si è ancora messo in evidenza Stefan Pop che ha dato vita ad un Rodolfo partecipe, ricco di sfumature e di passione, ben cantato. Il giovane tenore merita anche un plauso particolare per aver risolto nel secondo atto una situazione imbarazzante dal lato musicale, pronunciando la frase “Ch’io beva del tossico” in luogo del collega Marcello che taceva, consentendo così all’orchestra di attaccare.
Il secondo atto (quadro) della Bohème è tutto un intarsio di situazioni e preziosismi musicali nel quale ogni tessera deve collocarsi al suo posto in tempo e luogo perfetti rispetto al proprio contesto, pena evidenti dissesti esecutivi. A Stefan Pop dunque un doppio riconoscimento. Da lui vorremmo solo maggior squillo nel registro acuto. Il resto del cast vocale presentava molti cambiamenti rispetto a quello della prima rappresentazione, forse troppi, e la recita dal lato esecutivo non è stata precisissima. La sera del 3 agosto, tuttavia, abbiamo apprezzato lo Schaunard di Daniele Caputo (il quale ha dato seguito alla buona prestazione nella Fanciulla del West) e l’Alcindoro non troppo macchiettistico di Alessandro Ceccarini che con tuba e bella figura sembra uscito da un quadro di Caillebotte. Per il resto luci ed ombre da Pierluigi Dilengite, George Andguladze (un buon “Vecchia zimarra” in una prestazione piuttosto opaca), Micaela Sarah D’Alessandro, Marco Voleri (un presente Parpignol), Claudio Ottino, Francesco Lombardi, Samuele Giannoni. Qualche incertezza anche per il coro, sezione femminile, all’inizio del terzo quadro (i “buongiorno” delle lattivendole, per intenderci) e maschile (gli “spazzini“). Non male la direzione d’orchestra di Martins Ozolins (bene la compagine del Festival), ma ci siamo domandati se alcune delle imprecisioni avvertite non fossero da ascrivere anche alla sua bacchetta.
Regia iper-tradizionale di Alfonso Signorini (assistente Luca Ramacciotti), con scene (carine) e costumi di Leila Fteita. Ma se “tradizione” deve essere non capiamo il perché della scritta “San Miguel” sulla facciata del “cabaret” nel terzo atto in luogo del didascalico “Al porto di Marsiglia” come da libretto. Alla fine applausi per tutti, con successo personale per Stefan Pop e, ovviamente, per Angela Gheorghiu. Ma l’applauso più grande è per Giacomo Puccini. La Bohème oltre a commuovere è opera che fa pensare. Viva lui.