Applausi a scena aperta per “Iris” al Verdi di Pisa. Bravi Denys Pivnitskyi nel ruolo di Osaka, Maria Salvini (Guècha) e Didier Pieri
di FULVIO VENTURI
Dopo il debutto avvenuto al Goldoni di Livorno lo scorso mese di dicembre, Iris è giunta al Verdi di Pisa nella stessa produzione. Per la misconosciuta opera di Mascagni si è trattato di un altro franco successo. Teatro esaurito, applausi a scena aperta, spettatori giunti da ogni parte della Toscana, prolungate chiamate finali.
Per un’opera che eccetto l’Inno al/del Sole nessuno conosce più – basta fare un giro per il teatro e ascoltare i commenti di corridoio per averne la misura – si può essere contenti, ma l’entusiasmo che altre volte abbiamo visto sollevarsi attorno alle vicende e soprattutto ai suoni di Iris non lo abbiamo rilevato. E anche la rappresentazione, in verità, dopo un mese di sonno, qualche ruggine l’ha pur mostrata. Non che si tratti di colpe capitali, ma lentezze (una inspiegabile lunga pausa a sipario aperto proprio all’inizio dell’opera dopo l’Inno del Sole), trascinamenti e piccoli errori di sintassi e morfologia qua e là ne abbiamo pur annoverati.
Ma non sono mancate neppure le liete sorprese, come quella del tenore Denys Pivnitskyi che ha sostituito l’indisposto collega Paolo Antognetti e ha offerto un’ottima prestazione nei panni di Osaka, personaggio da sempre temuto in campo tenorile. Voce molto sicura e solida nel registro acuto, ha affrontato senza difficoltà la scomoda tessitura (tutta nel “passaggio” per i conoscitori del termine) della Serenata di Jor e nel duetto del secondo atto non si è limitato ad eseguire le note, come spesso è accaduto a colleghi più noti e navigati, ma ha tentato di ammorbire, di sfumare, di alternare espressioni e soluzioni interpretative spesso riuscendovi. Non si dimentichi che questo giovane cantante ha solo ventisette anni. Accanto a lui si è mossa con indubbia professionalità ed esperienza Paletta Marrocu (nella foto sopra a destra, ph. Trifiletti / Bizzi, come la foto sopra il titolo) e tutto il cast conforme alla première livornese di dicembre, ovvero Carmine Monaco d’Ambrosia, Kyoto, e Manrico Signorini, Il Cieco. Ancora molto bene Didier Pieri (Un Cenciaiuolo e Un Merciaiuolo) nella elegante serenata del terzo atto e un’altra piacevole sorpresa è stata offerta dalla giovane Maria Salvini nella difficile parte della Guècha (sostituiva Alessandra Rossi, pure indisposta).
Lo spettacolo del regista Hiroki Hara (non riusciamo a capire le frequenti grida inserite nel testo che indirizzano la narrazione più su toni veristi che simbolisti) si rifà con nude proiezioni alla figurazione di Hokusai, e serba ancora qualche tratto ormai quasi disperso nel campo delle citazioni da Hohenstein, lo scenografo che mise in scena per la prima volta Iris (1898). Orchestra filarmonica pucciniana diretta da Daniele Agiman, coro Ars Lyrica diretto da Marco Bargagna e coro aggiunto per Inno del Sole diretto da Luca Stornello. Allestimento in coproduzione con Kansai Nikikai Opera Theater Osaka, Teatro Goldoni Livorno, Teatro del Giglio Lucca e Teatro Verdi Pisa. Il cast è il risultato del Progetto Mascagni Opera Studio della Fondazione Livorno in collaborazione con il Rotary Club Livorno.
(Domenica 14 gennaio 2018 replica alle ore 15.30 di “Iris” al Teatro Verdi di Pisa. In febbraio l’opera sarà al Teatro del Giglio di Lucca).