Due strepitose serate fiorentina. Trionfo per Daniele Gatti. Strauss, Pizzetti e Stravinskij. La doppia recensione di Fulvio Venturi
di FULVIO VENTURI
In cinquanta e più anni di teatro raramente mi è capitato di essere stato tanto coinvolto e ammirato. Il merito è, devo dirlo, di Daniele Gatti. La precisione del suono e del gesto che si uniscono alla passione, alla partecipacizione, al sentimento lirico e per di più in tre partiture, Ariadne auf Naxos, i Tre preludi sinfonici per l’Edipo re di Sofocle di Ildebrando Pizzetti ed Œdipus rex di Stravinskij. A queste doti possiamo aggiungere quella del ricercatore perché Pizzetti è musicista dimenticato da tanto tempo e la musica riproposta in questo caso dimostra invece di meritare un’uscita dalle porte d’oblio.
In Ariadne auf Naxos ha sorpreso l’equilibrio, hanno destato meraviglia le sonorità nette e precise di un’orchestra ottima di per sé, ma che non avevamo mai sentito suonare tanto bene, unite con l’afflato lirico di una costruzione di rara intelligenza che non teme di cantare con tutta l’anima. Insieme con questo, trattandosi di opera, non può essere dimenticato la continuità dei segni e degli attacchi al palcoscenico, il lavoro della mano sinistra che nella direzione di Daniele Gatti assume l’aspetto di una duplice guida non meno essenziale della bacchetta.
Ariadne ha avuto anche un cast di assoluta qualità, dove anche le parti di fianco sono emerse per preparazione e freschezza. Mi riferisco al trio delle ninfe costituito da Maria Nazarova, Anna Doris Capitelli e Liubov Medvedeva e al quartetto delle maschere che aveva la parvenza di Liviu Holender, Luca Bernard, Jakub Heisa e Paul Schweinester ai quali, nel prologo, si è aggiunto il brillante Tanzmeister di Antonio Garés, l’Ufficiale di Joseph Dahdah, il Parrucchiere di Matteo Guerzé e il Lacché di Amin Ahangaran. Sempre nel prologo ha brillato Markus Werba (il miglior Maestro di Musica della mia carriera di spettatore, Walter Berry compreso) e Sophie Koch (subentrata a Michèle Losier) ha dispiegato la sua notevole classe nella fremente parte del Compositore. Ottimo anche il Maggiordomo di Franz Tscherne, che sostituiva Alexander Pereira colto dal “gran morbo che tutti piglia” in questi giorni. Krassimira Stoyanova è stata una protagonista di bellissima voce e di gran canto. La grande aria Es gibt ein Reich ha messo in evidenza le caratteristiche di questa splendida cantante, ma tutta la prestazione di Krassimira Stoyanova, dalla prima nota allo stupefatto finale, si è mantenuta ad un livello altissimo, né all’interprete è sfuggita la solipsistica malinconia che anima il personaggio di Ariadne.
La recita alla quale ero presente (29 giugno 2022) ha potuto avvalersi dell’apporto di Jessica Pratt, carismatica come mai l’avevamo veduta in teatro. Affascinante nel prologo, e magistrale nella trasparenza di suoni leggeri ed eleganti, musicalissima, nell’aria di bravura Großmächtige Prinzessin che tutti aspettano. Il tenore AJ Glückert si distacca dal cliché dei soliti Bacchus lirico-spinti-annaspanti. Non che sia una meraviglia, ma canta, va a tempo ed emette si bemolle di non-latina sonorità, sebbene piuttosto sicuri. A questo aggiungete il caleidoscopio sonoro di una delle partiture più belle della letteratura operistica.
Tanta dovizia musicale ha fatto dimenticare un allestimento piuttosto inutile di Matthias Hartmann, allorquando di case kitsch del riccone che paga non se ne può più con regia assente e solo impreziosito da qualche raffinata citazione (il quadro a cinque tagli di Lucio Fontana sullo sfondo del prologo, ad esempio) e qualche bel costume (Zerbinetta, Maestro di Ballo, Najade. Adriana Braga Peretzki, costumista). Buone le luci di Valerio Tiberi.
Al termine, un tripudio.
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Dal Teatro della Pergola che ha ospitato Ariadne auf Naxos ci siamo trasferiti la sera dopo, 30 giugno 2022, in Sala Mehta per il concerto con il brano di Pizzetti ed Œdipus rex di Stravinskij su testo di Jean Cocteau. Dico subito che la bella pagina pizzettiana composta agli albori del Novecento (ripeto il titolo, Tre preludi sinfonici per l’Edipo re di Sofocle), mi ha fatto venire voglia di riascoltare altra musica del compositore parmigiano. Qualche supercilioso solone storcerà il naso e aggrotterà la fronte, ho pensato a come, nella attuale eccellenza esecutiva e brillantezza progettuale del Maggio, potrebbe figurare una Fedra, la bella opera che Pizzetti compose fra il 1911 e il 1914 su testo di Gabriele d’Annunzio.
In Œdipus rex Daniele Gatti si presenta con un’immagine direttoriale più vicina a quella sua consueta. Questa partitura di Stravinskij dimostra che la musica sarà eterna debitrice della matematica e Gatti mette in evidenza la sua ben nota e apprezzata capacità di analisi, di mettere ogni raffinatezza timbrica e tecnica al servizio di una generale edificazione sonora. Ma quale passione, quale poetica, quale grandezza d’intenti anima tale pensiero. Non dimenticheremo l’intensità dell’incipit, la forza delle lamentazioni, l’incisività delle querele, le lacerazioni del dubbio, il dolore delle tragiche certezze, la commozione dell’addio, nel nitore e nella partecipazione di Daniele Gatti.
Sottolineata ancora una volta l’eccezionale condizione dell’Orchestra del Maggio, il coro maschile della isttuzione fiorentina in questo Œdipus rex si eleva a livello di protagonista. Bellissime voci fuse in una, tensione massima durante tutta l’esecuzione fino allo stupefacente finale. E dunque il maestro Lorenzo Fratini, distintissima guida della compagine, si pone allo stesso livello di Daniele Gatti.
Fra i solisti AJ Glückert, fatale re di Tebe, era qui senz’altro più a suo agio che negli scomodi panni del Bacco straussiano. Certe emissioni e l’aderenza testo cantato-declamato mi hanno addirittura rimandato al mitico tenore fiorentino Mirto Picchi, qualificatissimo interprete della musica novecentesca e di questa partitura stravinskiana.
Ogni elemento del cast vocale – e che cast, aggiungo – ha dato un contributo notevolissimo alla splendida esecuzione, dalla statuaria vocalità di Ekaterina Semenchuck, straniata e tragica Giocasta, al solido Creonte di Alex Esposito, ai più giovani e comunque ben collocati Adolfo Corrado (Tiresia), Luca Bernard, (Il Pastore), Sebastian Geyer (Il Messaggero). Massimo Popolizio ha declamato il testo coctoiano del narratore rendendolo il più possibile vicino al gusto demitizzante dei giorni nostri.
Al termine un trionfo per tutti con applausi financo superiori a quelli di Ariadne. Giustamente meritati.
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