“Maria Stuarda” al Carlo Felice: cast eccellente (bravissima Silvia Tro Santafé) e splendidi costumi. Un’opera da non perdere
di FULVIO VENTURI
Composta sulle vestigia dell’omonimo dramma schilleriano per essere rappresentata al San Carlo di Napoli nel 1834, “Maria Stuarda” di Donizetti è diventata opera di repertorio soltanto a partire dagli Anni Sessanta del Novecento. Al compimento di questa ritardata fortuna contribuirono essenzialmente tre fatti.
Primo, l’inesperienza del librettista Gaetano Bardari, giovane diciassettenne, che infarcì il testo letterario di allocuzioni dirette e troppo svelate per un’opera che trattava comunque di personaggi regali. Questo causò pesanti interventi della censura.
Secondo, il litigio delle due primedonne Giuseppina Ronzi de Begnis e Anna del Sère che alla “generale”, durante la cosiddetta scena “del confronto”, non potendosi patire l’un l’altra, si trattarono di tutti i titoli con conseguente reazione di Donizetti stesso il quale avrebbe apostrofato le cantanti di “puttane” e ritirato l’opera in attesa di trovare due interpreti meno indocili. Sembra però che al ritiro dell’opera abbia contribuito un “invito” più o meno diretto di Re Ferdinando in persona. Donizetti sulla musica dell’opera adattò in quattro e quattr’otto un libretto dell’oscuro Pietro Salatino, “Buondelmonte”, che andò in scena al San Carlo in luogo della “Stuarda” il 6 ottobre 1834, ma con pessimo esito.
Terzo, l’azzardo di Maria Malibran (foto sopra a sinistra) che, alla Scala, un anno più tardi, 30 dicembre 1835, titolare della produzione che finalmente recava alla prima rappresentazione di “Maria Stuarda” (foto a destra), contravvenendo ai dettami della censura, volle ugualmente intonare le parole “Figlia impura di Bolena/ Parli tu di disonore?/ Meretrice indegna e oscena/ In te cada il mio rossore/ Profanato è il soglio inglese/ Vil bastarda, dal tuo pie’!” (frasi peraltro molto incisive che riscattano qualche bolsaggine, diciamocelo).
“Maria Stuarda” fu così proibita dopo sette rappresentazioni e di essa si tornò a parlare solo una trentina d’anni più tardi. I tempi erano tuttavia cambiati e la musica di Donizetti (almeno quella del ciclo Tudor, ovvero “Anna Bolena”, “Roberto Devereux” e “Maria Stuarda”) interessava molto meno di una volta.
Per la definitiva affermazione di questo spartito si dovette attendere un intero secolo. L’affrancamento dall’oblio avvenne per mano di uno stuolo di supreme cantatrici (Sills, Caballé, Gencer, Sutherland, Verrett) e di ottimi direttori d’orchestra quali Bonynge, Molinari Pradelli, Sanzogno che riscoprirono i fascini interpretativi di quest’opera, dopo che anche “Anna Bolena” e “Roberto Devereux” erano state esumate (rimase impressa a Firenze una produzione diretta appunto da Molinari Pradelli con Gencer e Verrett, documentata discograficamente e poi ripresa ad Edinburgo con Sanzogno sul podio. Erano gli anni 1967 e 1969).
Da allora la travagliata opera è tornata in scena con una certa frequenza. Adesso, 17 maggio 2017, “Maria Stuarda” è approdata per la prima volta a Genova.
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La parte visiva di questa “prima” genovese al Teatro Carlo Felice si è retta più sugli splendidi costumi di Gianluca Falaschi che sulle asciutte scene di Monica Manganelli e sulla regia di Alfonso Antoniozzi. Scelta tuttavia appropriata, suggestiva e condivisibile. Il direttore artistico Giuseppe Acquaviva aveva nondimeno promesso un eccellente cast ed è stato di parola. Sugli scudi Silvia Tro Santafé, nella impegnativa parte della regina Elisabetta (a seguire una fotogallery della “prima” di “Maria Stuarda” al Carlo Felice di Genova, con due immagini del libretto della prima alla Scala del 30 dicembre 1835).
Parte belcantistica, tutta sbilanciata verso l’alto, ricca di agilità e tuttavia carica d’espressione. La brava cantante valenciana ne ha sempre dominato disinvoltamente la tessitura, evidenziando anche una notevole tenuta stilistica, unita a temperamento e ardore. Dominio tecnico e ardore interpretativo sono qualità che fanno ornamento anche al bagaglio di Elena Mosuc, la protagonista, che ha avuto picchi altissimi nell’invettiva del secondo atto “Figlia impura di Bolena” e in tutto il lungo, estenuato ed estatico finale. Ma indicare ad eccellenza alcuni passaggi è quasi ingiusto, perché l’intera sua prestazione è stata notevolissima. Molto bene anche Celso Albelo nei panni di Leicester, una parte che non ha arie da applauso, ma che si svolge tutta, elegante ed appassionata, fra duetti, terzetti e concertati.
Questa triade formata da Mosuc, Tro Santafé e Albelo sarebbe bastata da sola a delineare il valore della serata, ma una gran distribuzione di cantanti non sarebbe tale senza che le parti di fianco sapessero porsi sullo stesso livello di quelle principali. Ed ecco dunque Andrea Concetti e Stefano Antonucci scendere in campo per disegnare con inappuntabile professionalità la coppia di voci gravi formata da Talbot, il buono, e da Cecil, il cattivo. Alessandra Palomba, infine, ha dato voce agli accorati interventi della nutrice Anna Kennedy. Da sottolineare ancora una volta in positivo la prestazione del coro (maestro Franco Sebastiani) e dell’orchestra del Carlo Felice. Il maestro Andriy Yurkevych ha diretto facendosi notare pochissimo, ma stabilendo equilibrio massimo fra buca e palcoscenico e traendo ottimi effetti dai numerosi passi concertati, evidenziando quelle eco rossiniane che ancora si odono nella partitura di “Stuarda”.
Complimenti allo staff del Carlo Felice che ha saputo produrre questo spettacolo, senz’altro fra i migliori del panorama italiano di questi anni. Successone alla fine, ma che dire della sala tutt’altro che stracolma? Hanno torto quelli che sono rimasti a casa. Torto marcio.
- (“Maria Stuarda” al Carlo Felice di Genova va in scena anche giovedì 18 maggio 2017 alle ore 20.30, il 20 e 21 maggio alle ore 15.30, e il 25 maggio alle ore 20.30).
3 comments
Cast al Top, edizione da brividi!
Grazie, la produzione è veramente di gran qualità
Gaudium magnum, a quanto pare. Tanto più, considerati i pregressi così puntualmente esposti.
Complimenti, quindi, al recensore e agli addetti ai lavori.
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